Dopo quasi tre mesi dal suo arrivo a Roma, finalmente Galileo viene convocato dall’Inquisizione.
Ma esattamente cosa gli aveva detto Bellarmino?, chiedono i giudici. Galileo risponde tranquillo: il cardinale gli aveva detto precisamente quel che aveva già scritto nella lettera a Foscarini. Quindi, in senso assoluto, cioè come vera, la teoria copernicana non si poteva né tenere né difendere, ma la si poteva usare come ipotesi. A prova di ciò, aggiunge, ho una attestazione di pugno dello stesso cardinale; e ne esibisce copia.
Probabilmente gli inquisitori non sono al corrente della lettera di Bellarmino, Ma fanno la faccia da poker e proseguono. Per caso, qualcuno ha mai fatto un precetto a Galileo sulla questione copernicana?
Qui Galileo è un po’ incerto, un po’ perché non si ricorda bene (è vecchio e sono passati sedici anni), un po’ perché non sa cosa c’è scritto nel fascicolo (l’Inquisizione non fa consultare le carte agli inquisiti), quindi procede cautamente. Dice che non gli pare che gli abbiano mai fatto alcun precetto, ma non lo può escludere perché è passato tanto tempo.
Gli inquisitori insistono sul precetto, e chiedono a Galileo: ma se te lo leggessimo, te lo ricorderesti? Galileo non ne è sicuro, perché proprio non si ricorda nessun precetto.
Allora gli inquisitori gli leggono il testo del famoso verbale di cui abbiamo già parlato. Adesso si ricorda?, gli chiedono.
Qui si vede bene la differenza fra la procedura inquisitoriale e una procedura moderna. Il fascicolo è nelle mani dell’accusa; l’imputato, che tra parentesi non ha avvocato, non può vedere cosa contiene. Se gli inquisitori gli dicono che c’è il testo di un precetto, Galileo non può verificare. Non può, per esempio, controllare se il presunto precetto porta in calce le firme del notaio, dei testimoni e la sua. Se lo potesse fare, potrebbe obiettare che quello non era un atto valido. Ma deve rispondere al buio. In casi del genere, la migliore difesa è sempre quella di fare il finto tonto.
E’ proprio quel che fa Galileo: non mi ricordo – dice – che ci fosse un precetto in quei termini, probabilmente perché avevo la lettera di Bellarmino, che vi ho mostrato, che diceva che non si dovesse né tenere né difendere il copernicanesimo, ma non che non si potesse neanche discuterne in nessun modo (quovis modo), come nel precetto che mi avete letto.
Galileo qui implicitamente ammette che un precetto ci fu e gli venne regolarmente notificato da Bellarmino, sia pure senza testimoni; si limita a dire che non ricorda le clausole più compromettenti. Non è una gran difesa, ma va detto che non poteva fare molto altro. Per quanto ne sapeva, nel fascicolo poteva anche esserci un precetto con tutti i crismi. In quel caso, negare sarebbe stato controproducente.
Raggiunto questo primo risultato, gli inquisitori cambiano discorso e passano al Dialogo. Qui Galileo, che sa di trovarsi in una posizione fortissima, racconta per sommi capi la storia dell’imprimatur.
Gli inquisitori cercano però di mettere in difficoltà Galileo ritornando al famoso precetto: Galileo, nel trattare con Riccardi per il libro, gliene aveva mai accennato?
Se Galileo vivesse oggi, e davanti avesse un tribunale normale, la risposta giusta sarebbe: Ma siete scemi? A parte che nessuno mi aveva detto nulla che non fosse già di pubblico dominio, visto il decreto del 1616, ma comunque, anche se mi avessero notificato quel benedetto precetto, come potete pensare che il Papa attuale, che allora, da cardinale, era stato presente a tutte le riunioni che portarono alla condanna dell’eliocentrismo, e aveva anche ascoltato la relazione di Bellarmino sul suo colloquio con me, non ne sapesse nulla? E Riccardi non va forse tutti i giorni o quasi a parlare col Papa? E’ credibile che in una questione di tanta importanza solo io sapessi di quel famoso precetto, se davvero è mai esistito? Ma, sfortunatamente, nel 1633 così non si poteva parlare ai signori dell’Inquisizione. Perciò Galileo risponde solo di non aver detto nulla a Riccardi, in quanto col Dialogo non aveva voluto difendere il copernicanesimo, ma anzi lo aveva voluto confutare.
Il primo round è finito. Galileo viene trattenuto nel palazzo del Sant’Uffizio, in una camera, con divieto di uscire senza autorizzazione, e con obbligo di mantenere il silenzio sulla procedura; firma il verbale e l’udienza si chiude.
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