Un po’ per motivi personali, un po’ per motivi politici, il Papa decise di fare la voce grossa con Galileo.
Ormai la macchina si era messa in moto. Il 23 settembre 1632 il Sant’Uffizio ingiunge a Galileo di comparire a Roma entro ottobre. E il 2 ottobre, l’Inquisitore di Firenze convoca Galileo e gli notifica l’ordine di comparizione.
Cominciò una lunga partita diplomatica, in cui Galileo, accampando sempre nuove scuse (come l’età e la salute), cercava di rinviare la partenza.
E’ probabile che all’inizio Roma avesse deciso di usare il guanto di velluto, forse nel timore che Galileo decidesse di riparare all’estero, magari a Venezia, dove la possibilità per l’Inquisizione di agguantarlo sarebbe stata vicina a zero. E non c’è dubbio che Galileo avesse la possibilità di farlo. Ma Galileo non lo fece.
E’ probabile anche che Galileo fosse indignato. Gli era stato detto e scritto in tutte le salse, e non solo a lui, che si poteva dibattere dell’idea eliocentrica, a condizione di mettere bene in chiaro che si trattava di una mera ipotesi; e lui così aveva fatto. Aveva inserito una introduzione in cui la cosa era stata spiegata in lungo e in largo, e aveva pure aggiunto, alla fine, un argomento suggeritogli dallo stesso Papa. Aveva, insomma, fatto esattamente tutto ciò che gli era stato detto di fare. E non bastava: Galileo aveva pure, di sua volontà, fatto un viaggio a Roma per tastare il terreno, parlando del libro con tutti quanti, prima ancora di completarlo. Dopodiché, aveva portato lui stesso il libro a Roma, affinché padre Riccardi e il Papa facessero tutte le correzioni che volevano. Infine, aveva avuto il via libera, per iscritto, sia dal padre Riccardi sia dall’Inquisitore fiorentino. Che diavolo volevano di più, da lui?
A un certo punto però il Papa si stanca e ordina a brutto muso a Galileo di venire subito a Roma, altrimenti avrebbero dovuto «pigliarlo et condurlo alle carceri di questo supremo Tribunale, legato anche con ferri». ll Granduca, che fino allora aveva protetto Galileo, gli fa capire che resistere è impossibile, bisogna rassegnarsi e partire. Con le spalle al muro, Galileo il 20 gennaio 1633 parte in lettiga, dopo aver fatto testamento, e arriva a Roma (dopo la quarantena per la peste) il 13 febbraio 1633.
Alloggia presso la residenza dell’ambasciatore di Toscana a Villa Medici, Niccolini. Dalla corrispondenza diplomatica intrattenuta dall’ambasciatore appare anzi come, nei mesi della sua permanenza a Roma, la causa di Galileo fosse il principale assillo dell’ambasciata.
Ormai tranquilli che Galileo non possa più scappare a Venezia, improvvisamente i signori dell’Inquisizione non hanno più fretta. Galileo e Niccolini insistono per una rapida udienza, ma tutti invitano alla calma, l’Inquisizione ci mette il suo tempo.
Finalmente il 12 aprile viene convocato al Palazzo del Sant’Uffizio, alla presenza del Commissario generale Vincenzo Maculano e del Procuratore fiscale, Carlo Sincero.
Cominciano chiedendogli se si ricorda cosa venne deciso nel lontano 1616. Galileo risponde che fu deciso dall’Indice che l’opinione copernicana venne considerata eretica e ammessa solo per ipotesi, così come la intendeva appunto Copernico.
Allora gli chiedono chi gli aveva notificato la decisione. E Galileo risponde che lo aveva fatto Bellarmino.
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