Con l’elezione del nuovo Papa Urbano VIII, Galileo spera che ci sia di nuovo la possibilità di discutere della teoria copernicana.
Dal 1625 fino al 1630, Galileo si dedicò alla stesura del Dialogo dei Massimi Sistemi, il suo libro più famoso.
Finita l’opera, ebbe inizio la lunghissima fase dell’autorizzazione alla stampa (c.d. imprimatur). Nel frattempo era diventato Maestro del Sacro Palazzo, e quindi diretto responsabile delle autorizzazioni alla stampa, Niccolò Riccardi, amico di Galileo e cognato dell’ambasciatore di Toscana; ma emersero delle perplessità tra gli amici romani, incluso il nuovo uomo forte della Curia, il cardinale Francesco Barberini, il nipote del Papa. Si suggerì a Galileo di recarsi a Roma per discutere direttamente il testo con i censori. Nel maggio del 1630 quindi Galileo va a Roma. Riccardi dà parere favorevole alla pubblicazione, purché vengano fatte alcune modifiche. Nel giugno Galileo viene ricevuto dal Papa, e rassicurato: il Dialogo verrà pubblicato.
Il Papa però insistette che venisse rispettato l’editto del 1616 (cioè la discussione del sistema eliocentrico solo come ipotesi) e che perciò Galileo inserisse nell’opera un particolare argomento che egli stesso, anni prima, aveva ideato. Secondo il Papa, anche se le cose hanno l’apparenza che hanno, è certamente possibile a Dio, che è onnipotente, di far sembrare che la Terra giri mentre in realtà è il Sole a muoversi. Cosa ne pensasse davvero Galileo è difficile dire. Ma comunque inserì l’argomento papale nel Dialogo, verso la fine. Sfortunatamente, lo mise in bocca a un personaggio chiamato Simplicio, che è simpatico ma non sveglissimo.
L’imprimatur venne concesso nel luglio 1631. Nel frattempo, l’idea originaria (far pubblicare il Dialogo dall’Accademia dei Lincei, quindi con la protezione del principe Cesi e del Cardinal Barberini) crollò per la morte di Cesi. Giunse poi la peste, rendendo gli spostamenti impossibili. A questo punto, Galileo preferì far stampare il libro a Firenze. Così, Galileo e il Granduca ottennero che anche la revisione del libro venisse effettuata a Firenze; il che però si rivelò poco pratico. In qualche modo, comunque, Riccardi riuscì a rivedere direttamente almeno le due parti del Dialogo che lo preoccupavano di più (cioè l’introduzione “ipotetica”, di fatto scritta in gran parte da lui, e la chiusa, con l’argomento del Papa) e infine autorizzò la stampa, ultimata alla fine del febbraio 1632.
Fino a giugno, nessuna reazione giunse da Roma. A luglio, improvvisamente, Riccardi scrisse all’Inquisitore di Firenze che il Papa voleva bloccare il libro, che andava ulteriormente corretto. Le voci di una prossima proibizione si diffondono e allarmano l’ambasciatore fiorentino.
Non si sa bene perché Urbano VIII decise di fare la voce grossa con Galileo. Intanto, il Papa sembra fosse rimasto davvero male, umanamente parlando, per il fatto che il suo argomento fosse stato messo sulle labbra di un personaggio sciocco. Ma sembra che il motivo principale fosse la situazione politica. Nel marzo del 1632, il Papa si era ritrovato ai ferri corti con una forte fazione di cardinali, vicini alla Spagna, che criticavano la tiepidezza della Santa Sede verso le potenze cattoliche impegnate nella Guerra dei Trent’anni. Di conseguenza, Urbano VIII doveva da allora in poi essere molto cauto. Per di più, finirono coinvolti nello screzio tra il Papa e i cardinali filospagnoli alcuni dei migliori amici di Galileo nella Curia, tra cui monsignor Ciampoli, che aveva giocato un ruolo importante nella fase delle trattative per l’imprimatur del Dialogo. Sta di fatto che, a quel punto, autorizzare un testo “copernicano” come il Dialogo rischiava di apparire come un segnale di debolezza, inaccettabile proprio in una situazione di guerra con i protestanti. Galileo rappresentava un ottimo capro espiatorio, col bonus aggiuntivo di essere un vecchio amico del Papa: colpendo lui, Urbano VIII dimostrava di non guardare in faccia nessuno, quando si trattava di difendere la fede.
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