Insomma, il copernicanesimo è stato dichiarato eretico. Galileo è informato della decisione e ammonito di abbandonare la teoria condannata. Ma che successe dopo?
Perciò il testo del 26 febbraio contraddice il documento del 25.
Lì, era stato chiaramente specificato che Bellarmino avrebbe dovuto informare Galileo della decisione papale e ammonirlo di abbandonare il copernicanesimo. Se, e solo se, Galileo avesse rifiutato, il Padre Commissario Segizzi avrebbe dovuto intimargli formalmente (dinanzi a notaio e testimoni, con regolare verbale sottoscritto dal notaio e dai presenti) il precetto. Invece, subito dopo che Bellarmino ha ammonito Galileo, improvvisamente e senza intermissione (“successive ac incontinenti”), cioè senza che Galileo avesse fiatato, zac!, interviene Segizzi a intimare il precetto a Galileo, il quale dichiara di sottomettersi.
Ma le cose non dovevano andare così. Il precetto, che ha tra l’altro un contenuto più stringente di quanto ordinato dal Papa (non si era mai detto che Galileo non potesse più trattare della teoria copernicana “quovis modo”), doveva esser intimato a Galileo solo se questi avesse rifiutato di obbedire. Ma nel documento del 26 febbraio non si fa parola di alcun rifiuto o di alcuna protesta di Galileo; anzi, si legge che il Padre Commissario intervenne subito dopo l’ammonizione, “senza intermissione” (“incontinenti”): quindi, prima ancora che Galileo potesse replicare.
Secondo qualcuno, Galileo potrebbe aver protestato, così giustificando l’intervento di Segizzi. Ma il fatto è che nel testo non ce n’è traccia. Se il documento è veritiero, allora il precetto è un chiaro abuso di potere del Padre Commissario, che è andato contro le istruzioni date dal Papa.
Su questo documento ci si accapiglia da più di un secolo.
Ci sono in sostanza tre teorie. La prima è che il documento sia un falso. La seconda è che sia autentico e valido. La terza è che sia autentico, ma invalido.
Innanzitutto, c’è un problema formale. Il precetto, per essere valido, dovrebbe essere esposto in un verbale redatto da notaio, firmato da questi, dai testimoni e dallo stesso Galileo, che così attestava di averlo ricevuto. Ma nel foglio, sempre che sia stato effettivamente redatto da notaio, non c’è nessuna firma. E si noti che il fascicolo è pieno di documenti firmati dalle parti e dai testimoni, a cominciare dallo stesso Galileo.
Non solo: al contrario di tutti gli altri atti del fascicolo, questo verbale inizia nel rovescio di un foglio, anziché sul dritto.
E infine, e soprattutto, c’è il contrasto fra il contenuto del documento e le chiare istruzioni del Papa.
La realtà è che è difficile capire cosa sia esattamente successo.
Anche i fatti successivi rafforzano i dubbi sul documento.
Il 3 marzo, alla nuova riunione del Sant’Uffizio in presenza del Papa, Bellarmino riferisce di aver ammonito Galileo, e che Galileo ha acconsentito. Bellarmino non fa parola dell’intervento del commissario Segizzi né del precetto. Possibile che Bellarmino non ne abbia fatto parola, se davvero le cose fossero andate come riferisce il documento del 26 febbraio?
Il 5 marzo l’Indice pubblica un decreto, dichiarando la teoria copernicana contraria alle Scritture; inoltre aggiunge la condanna di due tesi tra cui la lettera di Padre Foscarini, in cui si affermava non solo che la dottrina copernicana fosse vera, ma anche compatibile con la Scrittura. Pertanto, si ordina che i libri di Copernico siano “sospesi mentre vengono corretti”, mentre la lettera di Foscarini viene proibita.
In che cosa consisteva questa “correzione”? Le affermazioni di Copernico venivano trasformate in ipotesi. Perciò, l’opinione copernicana non era interamente vietata: poteva essere insegnata e discussa, purché non se ne affermasse “assolutamente” la verità. E’ insomma la tesi di Bellarmino. Nel testo di Copernico, andavano quindi inserite delle aggiunte che spiegavano che la tesi copernicana era solo una ipotesi.
E non è ancora finita.
Lascia un commento