Come abbiamo visto nella prima puntata, le scoperte galileiane entrano nel vivo della teoria tolemaica e i guai cominciano quasi subito.
Le ostilità scoppiano quando un certo fra Niccolò Lorini, domenicano di Firenze, denuncia Galileo al cardinale Sfondrati della Congregazione dell’Indice. Questi, visto che la questione è di competenza della Congregazione dell’Inquisizione (detta anche Sant’Uffizio), trasmette la denuncia al cardinal Millini, segretario dell’Inquisizione.
Secondo la denuncia, Galileo sostiene tesi “o sospette o temerarie”, cioè eretiche: ad esempio, che certi passaggi delle Scritture siano errati, o che l’autorità delle Scritture sia irrilevante quando si tratta di fenomeni naturali, o insomma “che la medesima Scrittura non si deva impacciar d’altra cosa che delli articoli concernenti la fede, e che nelle cose naturali habbia più forza l’argumento filosofico o astronomico che il sacro et il divino”.
Vengono sentiti, in una istruttoria che dura parecchi mesi (senza che Galileo ne sappia nulla), vari testimoni, i quali in sostanza confermano, sì, che Galileo e i suoi amici affermano e difendono la teoria copernicana, ma per il resto sono senza dubbio “bonissimi cristiani”. Insomma, di cose gravi da rimproverare a Galileo, nel 1615, l’Inquisizione non ne ha trovate, a parte il copernicanesimo, che però nessuno nella Chiesa si era ancora mai sognato di condannare. Si va quindi verso una tranquillissima archiviazione.
A questo punto però avviene un fatto nuovo. Un teologo carmelitano calabrese, Paolo Antonio Foscarini (1580-1616) pubblica una Lettera sopra l’opinione dei Pitagorici e del Copernico che fa parecchio rumore. Foscarini vuole dimostrare che l’opinione copernicana è compatibile con le Sacre Scritture e che la costituzione dell’universo non costituisce materia di fede.
La tesi non era originale, ma aveva il torto, in quel momento, di spostare la discussione dal piano dell’astronomia a quello della fede cattolica. E purtroppo il massimo teologo cattolico del tempo, il cardinale Roberto Bellarmino, la pensava diversamente.
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