L’Inquisizione decide di proporre un patteggiamento a Galileo.

Così Maculano, il pomeriggio del 27 aprile, va a trovare Galileo. Il giorno dopo scrive al cardinale Barberini raccontandogli come è andata.

Da questo eccezionale documento (scoperto nel 1833 nell’archivio di casa Barberini) si apprende che: i) a Galileo era stata offerta una via d’uscita onorevole, a condizione che confessasse di  aver “errato” e “ecceduto” nel Dialogo; ii) dopo la confessione, vi sarebbe stato un breve interrogatorio “sopra l’intentione”, cioè circa la disposizione interna di Galileo a proposito del copernicanesimo (il che conferma che si trattava di un processo ereticale, non disciplinare); iii) gli sarebbe poi stato concesso (come di norma) un termine per presentare le sue difese; iv) quindi, lo si sarebbe rimandato a casa, in attesa della sentenza; v) la sentenza sarebbe stata “benigna”.

Sarebbe interessante sapere come si svolse il colloquio. Probabilmente il Commissario avrà spiegato a Galileo come si stavano mettendo le cose: cioè male, dopo il rapporto dei tre consultori. E gli avrà fatto capire che quel che doveva soprattutto evitare era una ricerca a fondo sulla sua “intentione”: per cavarsela, però, sarebbe bastato che ammettesse una colpa qualunque (vanità, presunzione, insipienza.) E’ molto verosimile che il buon vecchio ci sia rimasto male. Ma Galileo non era uno sciocco, e era chiaro che gli conveniva accettare la proposta.

E così, due giorni dopo, ecco Galileo tornare davanti ai giudici, per rendere una lunga dichiarazione. In sostanza, dice che, avendo riflettuto a lungo sull’interrogatorio precedente, aveva pensato di riprender in mano il Dialogo, “il quale da tre anni in qua non havevo più riveduto”, per vedere se per caso “contro alla mia purissima intentione, per mia inavertenza”, gli fosse “uscito dalla penna” qualcosa che potesse far pensare che lui fosse stato “contraveniente a gli ordini di Santa Chiesa”. Così si era messo a rileggere il Dialogo, dopo tanto tempo, “quasi come scrittura nova e di altro auttore”, e l’aveva trovato tale che, chi non lo conoscesse bene, avrebbe ben potuto credere che lui volesse sostenere e difendere il copernicanesimo. Insomma, spinto forse dal desiderio di mostrarsi “sottile” e “arguto”, il libro era andato, come dire, un po’ troppo in là nel difendere la teoria copernicana. “E’ stato dunque l’error mio, e lo confesso, di una vana ambizione e di una pura ignoranza et inavertenza”.

Galileo firma la deposizione e viene mandato via sotto giuramento di silenzio.

Tanti commentatori si sono commossi davanti al venerabile vegliardo che si umilia e si scusa per la soverchia ambizione e l’arroganza dimostrata nel Dialogo; ma qui ci interessa l’efficacia processuale di questa difesa. Galileo riconosce, innanzitutto, l’esistenza del precetto del 1616. Inoltre, ammette di aver ecceduto nel suo intento, e di aver, lungi dal dimostrare la falsità del copernicanesimo, dimostrato invece la sua correttezza. In questo modo, sta facendo marcia indietro da quanto aveva detto nel primo interrogatorio. Ma ormai non aveva più scelta: a meno di voler andare a uno scontro frontale con gli inquisitori, gli conveniva optare per il male minore, tanto più che il Commissario, col consenso del resto dell’Inquisizione, gli aveva suggerito di tenere questa strada, promettendogli indulgenza.

Per il momento, a Galileo era permesso di far ritorno a Villa Medici, dove sarebbe dovuto rimanere “loco carceris”, cioè agli arresti domiciliari, e senza poter vedere estranei, con l’intesa di ritornare al Palazzo non appena ne fosse stato richiesto.

Il 10 maggio, Galileo viene nuovamente convocato: gli vengono dati otto giorni per fare le sue difese. Ma Galileo, preavvertito da Maculano, ha già pronta la memoria difensiva.

Galileo, insomma, aveva tenuto fede alla sua parte dell’accordo “estraiudiciale”.

Restava da vedere se anche l’Inquisizione avrebbe eseguito la sua parte.

Gli inquisitori inviano un rapporto al Papa. Però è un rapporto strano e tendenzioso: in particolare, non vi si fa parola dell’accordo stragiudiziale con Galileo. Il che vuol dire che qualcuno, probabilmente Urbano VIII stesso, o magari il cardinal nipote, ha cambiato idea, oppure non è mai stato d’accordo con quella soluzione. Infine, il 16 giugno 1633, il Papa ordina che Galileo venga interrogato circa l’intenzione, anche con tortura (etiam comminata ei tortura), e qualora persistesse (nel negare l’intenzione), dopo abiura solenne in presenza dell’intera Congregazione, che venga condannato al carcere ad arbitrio dell’Inquisizione, con l’ordine di non scrivere né parlar più del moto della terra né della stabilità del sole. In più, il Dialogo doveva essere proibito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Hai bisogno di contattarmi?

Se vuoi avere informazioni, se hai domande curiosità, scrivimi!

Invia Mail

Seguimi sui miei Canali: