L’accusa lesse a lettera di Paget che Maria, secondo la testimonianza del segretario Curll, aveva letto. Vi si parlava della conversazione fra Mendoza e Ballard a proposito del progetto di invasione e di liberzione di Maria. Ma naturalmente Maria obiettò che questa lettera non provava nulla circa il progetto di assassinare Elisabetta.
L’accusa ribatté che il contenuto delle lettere, e del progetto ivi discusso, identico al progetto di assassinio della Regina, era confermato dalle confessioni dei segretari di Maria, Nau e Curll. Ma Maria, rimarcando che nessuno dei due testimoni era stato portato a confronto con lei, contestò tutto. La loro testimonianza, disse, se non ripetuta liberamente davanti a lei, non era utilizzabile. Verosimilmente, disse, erano stati indotti “dalla promessa di una ricompensa, dalla speranza o dal timore, a testimoniare il falso contro di me”. Inoltre, era pure possibile che le lettere le avessero scritte di loro propria inziativa. In conclusione ribadì che i suggerimenti che aveva dato ai suoi amici “si ispiravano a un solo giusto sentimento che la natura alimentava in me: la speranza di potere un giorno riacquistare la libertà”. Ma non accettava di essere accusata se non “in base alle mie parole e ai miei scritti”: se i segretari hanno scritto qualcosa in merito a possibili attentati alle persona della “Regina mia sorella, lo hanno fatto a mia completa insaputa. Subiscano dunque il castigo della loro temeraria leggerezza!” Concluse di esseere certa che, se i segretari fossero stati lì presenti, l’avrebbero discolpata. E lei stessa, se solo avesse avuto i suoi appunti a disposizione, avrebbe saputo rispondere punto per punto a tutto.
A questo punto i commissari procedono a leggerle lettere minori (a lord Englefield, a lord Paget e a Mendoza), dove ancora una volta si parlava di aiuti dai paesi stranieri. Ma Maria, ancora una volta, ha buon gioco a far notare che queste lettere non provano l’accusa: avevo tutto il diritto, dice, di cercare la mia liberazione, tanto che io stessa “a diverse riprese, ho dichiarato apertamente alla Regina che avrei cercato di recuperare la mia libertà”.
La famigerata Star Chamber, dove si svolse l’ultima fase del processo di Maria.
La seduta si interruppe; riprese la mattina dopo. Maria ripetè nuovamente le sue lamentele sulla sua prigionia, e ribadì che, pur desiderando ardentemente la sua libertà e quella dei cattolici inglesi, “non avrei mai voluto ottenere questo risultato al prezzo del sangue di un uomo. Io preferisco per me la parte di Esther a quella di Giuditta e cioè intercedere presso Dio in favore di un popolo piuttosto che privare della vita il più umile suddito del regno.” Dopodiché chiese un’altra udienza per riesaminare il caso e chiese che le fosse dato un avvocato: “In quanto principessa, dovrei essere creduta sulla mia parola. Commetterei un’imperdonabile follia se accettassi il vostro giudizio, poiché mi rendo conto chiaramente che siete prevenuti contro di me”.
Il tesoriere negò, disse che nessuno era prevenuto contro di lei, che tutti avevano come solo compito quello di accertare la verità. Ricordò nuovamente le lettere e le confessioni dei segretari. Maria a sua volta ripeté le sue obiezioni contro le lettere (che non solo non era provato fossero state scritte da lei, ma che potevano contenere frasi non dettate da lei e indirizzate a persone a cui non voleva inviarle) e contro le confessioni dei segretari (che potevano essere state estorte, con torture o promesse). Si era a un nulla di fatto: Maria continuava a opporre alle lettere e alle testimonianze le obiezioni già più volte espresse. Quanto all’accusa di aver voluto trasmettere al Re di Spagna i suoi diritti al trono inglese, Maria negò, ma ammise che “ora, dopo aver perduto ogni speranza in Inghilterra, sono fermamente decisa a non respingere l’aiuto straniero”.
Il tesoriere chiese infine a Maria se desiderasse aggiungere qualcosa. Lei disse: chiedo di essere ascoltata da un parlamento al completo, o di poter parlare personalmente al Consiglio e alla Regina. Poi si alzò ponendo così lei stessa fine all’udienza, e si mise a chiacchierare con il tesoriere, con Hatton, con Warwick e con Walsingham.
Non restava che attendere la sentenza. Inaspettatamente però giunse un ordine da Elisabetta di rinviare tutto al 25 ottobre: la regina voleva studiare personalmente tutto l’incartamento processuale, prima di autorizzare la sentenza. (Questo per misurare l’autonomia della commissione!) I dibattiti quindi ripresero il 25 ottobre a Westminster, nella famosa Camera Stellata (Star Chamber), ma senza Maria, che era rimasta a Fotheringay. In questa sede, vennero nuovamente sentiti i due segretari, che confermarono l’autenticità delle loro deposizioni, pur nel grande dolore di dover così testimoniare contro la loro padrona.
Dopodiché i commissari si riunirono per redigere la sentenza. Quindi la comunicarono agli avvocati della Regina. Uno solo dei commissari (lord Zouch) si rifiutò di sottoscrivere la sentenza: riteneva che Maria fosse stata sì a conoscenza del complotto, ma che non era provato che ne fosse complice. La sentenza della commissione, invece, accolse entrambe le suddette conclusioni.
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