Naturalmente le prove più importanti vennero dalla confessione dello stesso Babington. Questi fece un racconto estremamente particolareggiato dei suoi rapporti con i congiurati, da Ballard in poi, ovviamente esplicando approfonditamente la sua corrispondenza con Maria. Qui ci fu un contrattempo, dato che Babington riferì anche del post-scriptum apocrifo (aggiunto da Phelippes). Walsingham, abilmente, fece finta di nulla, ma alla fine dell’interrogatorio fece leggere e firmare per autentica a Babington, approfittando della sua stanchezza, una copia della lettera di Maria senza il post-scriptum – che da quel momento in poi non fu menzionato più nemmeno una volta nel processo.
Il processo vero e proprio ai congiurati si svolse dal 1 al 15 settembre. L’esito, naturalmente, era scontato. Elisabetta non solo negò la grazia ai condannati, ma si lamentò pubblicamente che la legge non le permettesse di inventare nuove torture per i disgraziati. Lord Burghley, sempre premuroso, la rassicurò: il modo delle esecuzioni previsto nei casi di tradimento era già di suo abbastanza spaventoso da incutere terrore in tutti gli astanti. Furono impiccati prima e poi squartati (Babington, Ballard e Savage furono tirati giù dal cappio e squartati quando erano ancora vivi.)
Dopo l’interrogatorio dei congiurati, toccò ai segretari di Maria, anch’essi arrestati al momento della grande retata. Le prove erano già sufficienti, ma siccome conveniva non far testimoniare gli agenti di Walsingham, occorreva che qualcuno attribuisse espressamente le lettere (o meglio, le copie in possesso del governo inglese) ad ordini diretti della regina di Scozia. La testimonianza dei due segretari di Maria, il francese Nau de la Boisselière e lo scozzese Curll, entrambi vicinissimi a Maria, fu pertanto decisiva. Dopo qualche iniziale resistenza, quando Burghley e Walsingham ebbero loro fatto capire chiaramente che, se non ammettevano che si erano limitati a scrivere le lettere per ordine di Maria, a finire sulla forca per tradimento sarebbero stati loro, confessarono di aver scritto le lettere su ordine di Maria, mettendo per così dire “in bella” quel che Maria aveva loro dettato.
Filippo II di Spagna
A questo punto nulla più impediva di procedere direttamente contro Maria. La diplomazia inglese intervenne per cercare di ridurre i possibili inconvenienti. Il processo ovviamente avrebbe esacerbato i rapporti con la Spagna, dato che l’esplicito assenso della Spagna alla congiura costituiva un vero e proprio casus belli; ma tanto, i rapporti ispano-inglesi erano già pessimi da tempo, e tutti sapevano che la Spagna si stava già preparando all’invasione; inoltre Filippo II, a differenza dell’ambasciatore Mendoza, non aveva mai fatto troppo affidamento sui congiurati, che considerava correttamente un gruppo di sprovveduti. Con la Francia, la situazione era diversa: la Francia era chiaramente rimasta estranea alla congiura, e anzi i congiurati avevano avuto cura di tenersi alla larga dall’ambasciatore francese Chateauneuf nonché dal Re, considerato troppo vicino all’Inghilterra; quindi Elisabetta mandò un messo straordinario al re di Francia per esporgli in dettaglio le prove contro Maria, e per il resto si tenne sul vago trincerandosi dietro la volontà dei suoi sudditi (era quello che faceva sempre quando voleva fare qualcosa che altri disapprovavano: “lo chiedono i miei sudditi!” Oggi diciamo “Ce lo chiede l’Europa!”). Più delicata era la situazione con la Scozia, visto che Giacomo non poteva decentemente far a meno di protestare e cercare di salvare la testa della madre. Ma Giacomo, già di natura un personaggio complicato e indeciso, era dipendente dagli aiuti inglesi, e inoltre era legato a Elisabetta dalla (fondata) speranza di succederle sul trono inglese; inoltre non amava la madre (che aveva anche minacciato di diseredarlo se non avesse abiurato il protestantesimo) e detestava il partito cattolico, con cui doveva quotidianamente litigare in Scozia, sicché si limitò a qualche protesta più che altro formale e solamente per salvare la faccia.
Giacomo.
Abbiamo visto che le prove a questo punto non mancavano. Ma ovviamente c’era un grosso problema giuridico. Maria non era suddita di Elisabetta; esisteva sì un vecchio principio per cui la corona d’Inghiterra aveva una sorta di primazia su quella di Scozia, ma era roba vecchia e gli Scozzesi non lo riconoscevano (e Elisabetta non aveva interesse a indisporre Giacomo). Soprattutto, Maria era Regina di Scozia, cioè capo (almeno nominale) di uno Stato straniero; come tale, non solo era immune alla giurisdizione inglese, ma immune a qualunque giurisdizione. Si poteva provare a sostenere che Maria, quando era stata deposta dagli scozzesi rivoltosi, avesse perso il suo rango di regina: ma questo implicava che i sudditi potessero, con la forza delle armi, decidere chi dovesse regnare, il che era inaccettabile per Elisabetta, ovviamente sostenitrice del diritto divino dei re. Bisognava quindi trovare qualche precedente di un re processato e giudicato da un altro re per tradimento. Nonostante le ricerche, i consulenti di Elisabetta non riuscirono a trovare nulla di più recente della condanna di Corradino di Svevia (1268)… La strada residua era perciò solo una: sostenere che Maria, quando si era rifugiata in Inghilterra, avesse implicitamente accettato di sottomettersi alla “protezione” inglese, e quindi fosse vincolata alle leggi inglesi. Quali leggi? Qui veniva il bello: nel 1585, forse proprio per predisporre le armi per eliminare Maria, un gruppo di lealisti inglesi, dopo la scoperta dell’ennesimo complotto papista, aveva insistito con la Regina, che aveva prontamente accettato, perché venisse emanato un Atto per garantire "la sicurezza della regale persona della Regina e il mantenimento della pace nel Regno”. Esso stabiliva che se si fosse provato che un’invasione, una ribellione o un attentato contro la Regina era stato preparato, all’interno del Regno, da un pretendente alla Corona, questi sarebbe senz’altro decaduto da tutti i suoi diritti; idem sarebbe successo se questo pretendente fosse stato solo a conoscenza del complotto e fosse rimasto in silenzio, senza denunciarlo. La Regina in questo caso avrebbe nominato una commissione di 24 persone (tra i Pari, i consiglieri privati e i magistrati) per informare la Regina e decidere la colpevolezza dell’accusato. Elisabetta il 5 ottobre 1586 nominò questa commissione (di cui facevano parte Burghley, Walsingham, Amyas Poulet e il Chief Justice Christopher Wray).
Il castello di Fotheringay
Maria nel frattempo era stata condotta al castello di Fotheringay, senza molte spiegazioni. Lo stesso 5 ottobre, Elisabetta le scrisse una lettera molto secca e deliberatamente insultante (non conteneva le ordinarie formule di cortesia, come “Signora” o “Sorella” eccetera; all’esterno, c’era semplicemente scritto “Per la Scozzese”), in cui le annunciava di avere le prove del suo convolgimento nel complotto contro di lei, e che i latori della lettera sarebbero giunti da lei per interrogarla; “avvertendola e ingiungendole” di dar credito ai suddetti commissari e di rispondere alle loro domande. L’11 ottobre i commissari giunsero al castello. Il processo aveva ufficialmente inizio.
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