Avrebbe risposto Maria?

Il 27 luglio arriva la risposta: una lettera assai lunga (che tra gli storici inglesi è nota come “bloody letter”, la lettera di sangue). A lungo si è discusso della sua autenticità, in particolare dei passi che parlano dell’omicidio di Elisabetta; oggi si ritiene che sia autentica – del resto, nessuno, nemmeno Maria, l’ambasciatore spagnolo o il re di Francia, negarono mai  la sua autenticità. Ce ne è però pervenuta solo la copia fatta da Phelippes: ma questo non è sospetto, perché ovviamente l’originale era stato restituito a Babington, e questa sicuramente l’avrà distrutto, come del resto ovviamente Maria si aspettava. E’ invece sicuro che il post-scriptum alla lettera sia un falso totale, opera di Phelippes su ordine di Walsingham.
La Bloody Letter, con il poscritto di Philippes.
La lettera è giudicata da molti storici un capolavoro di ambiguità (infatti al processo Maria venne inchiodata solo perché la lettera fu prodotta assieme alla precedente missiva di Babington, che di fatto conteneva tutte le cose compromettenti); non a caso, nel processo Maria più volte protestò di voler essere giudicata su quel che aveva scritto lei, e non su quello che avevano scritto altri. E’ comunque una lettera che esamina punto per punto tutti i vari aspetti del piano, mettendone anche in luce i punti deboli. Il punto fondamentale è che Maria dichiara di “lodare e approvare pienamente il vostro [di Babington] desiderio e l’intenzione di far fronte in tempo ai propositi dei nostri nemici che mirano a estirpare la nostra religione da questo regno, portandoci tutti alla rovina” e prega Babington di “rassicurare i nostri principali amici che, pur ammettendo di non avere un interesse particolare in questa causa (…) io sarò sempre pronta e dispostissima a impegnarvi la mia vita e tutto ciò che ho o posso sperare di avere un giorno in questo mondo”. Inoltre vi sono dettagli specifici su quasi ogni punto del piano, inclusi progetti per effettuare la liberazione di Maria. 
Nel complesso, si tratta di prove molto forti. Nello stesso periodo, peraltro, Maria scrive altre quattro lettere (a Mendoza, a Paget e a sir Englefield) in cui menziona un “progetto ampiamente sviluppato” che dichiara di aver inviato agli uomini del re di Spagna “autorizzandoli a deciderne tutti insieme l’esecuzione”. Saranno tutte utilizzate nel processo per corroborare la prova rappresentata dalla bloody letter.
Non appena Phelippes decifra la lettera di Maria a Babington, scrive esultante a Walsingham (il 29 luglio 1586): abbiamo abbastanza prove per colpire, cominciando con l’arrestare Babington; forse, muovendosi in fretta, non farà in tempo a  distruggere la lettera originale di Maria. Phelippes è talmente su di giri che sul pacco di documenti che invia a Walsingham traccia il segno Π: il simbolo della forca…
Walsingham, nel rispondere, pur elogiando Phelippes, lo rimprovera: il segno della forca ha allarmato i congiurati, che “hanno dei complici alla posta di Londra” (!); ordina a Philippes di raggiungerlo, ma con discrezione, al fine di non allarmare ulteriormente i congiurati. Dice che Ballard verrà arrestato immediatamente, mentre con Babington si procederà dopo l’arrivo di Phelippes a Londra.
E questo è il cifrario usato da Maria.
Il 21 luglio Gifford si fa prendere dal panico (temeva di essere costretto a deporre, o comunque di essere scoperto) e si dilegua. Gli altri congiurati, che cominciano a accorgersi di quanto i loro piani chimerici distano dalla realtà, si trovano in una situazione di indecisione e perplessità. Il 3 agosto, Walsingham, allarmato dalle incertezze dei congiurati, che teme possano sfuggirgli, ordina la loro cattura. Babington, sempre il 3 agosto, fa in tempo a scrivere nuovamente a Maria: ha scoperto che un altro congiurato, con un ruolo marginale, è a sua volta una spia del governo inglese. Le garantisce comunque che il gruppo continua fedelmente a portare avanti il piano.
Ballard e Babington prendono alloggio insieme a Londra – presso un’altra spia di Walsingham. Quando cala la rete, però, Ballard viene arrestato, mentre Babington, per un caso, sfugge: scappa via da Londra con un altro paio di congiurati, e si rifugia a casa di amici cattolici a Uxendon. 
Nel frattempo, su ordine di Elisabetta, Maria riceve un brutto colpo: d’ora in poi verrà privata di quasi tutti i suoi domestici, le sue carte vengono sequestrate, i segretari arrestati, e lei stessa a tutti gli effetti verrà trattata non più come una “ospite” ma come una prigioniera.
Il 14 agosto la fuga di Babington termina: viene catturato a Uxendon assieme a tutto il suo gruppo; più o meno contemporaneamente, anche Savage e gli altri vengono arrestati. Tutti vengono rinchiusi nella Torre.
Per due settimane c’era stata una specie di blocco navale: nessuna nave poteva lasciare i porti inglesi. Dopo la cattura dei congiurati, però, il blocco venne tolto e la notizia della disgrazia di Maria si diffuse in tutta Europa. L’ambasciatore di Francia, Guillaume de l'Aubespine, barone di Chateauneuf, si trovò in una situazione delicata, avendo più volte aiutato Maria a far arrivare all’esterno i suoi messaggi approfittando della sua immunità diplomatica; ebbe comunque il coraggio di intercedere per Maria presso Elisabetta. Elisabetta ovviamente gli disse che aveva prove schiaccianti. 
Chateauneuf
La casa di Chateauneuf venne circondata da uomini del goveno per impedire che i cospiratori sfuggiti alla rete si rifugiassero presso di lui, e il clima antifrancese si fece sentire anche contro l’incolpevole ambasciatore; ma alle sue rimostranze, Walsingham rispose semplicemente che “a lui era successa la stessa cosa” quando era a Parigi durante la notte di San Bartolomeo. In ogni caso, l’ambasciatore francese non riuscì a cavar nulla di solido dalla Regina (“quando parlo alla Regina di qualcosa che non le riesce gradito, ella mi dice di non credere che Vostra Maestà me lo abbia ordinato”: era una furbacchiona Elisabetta).
Tuttavia Elisabetta fu terrorizzata dalla scoperta del complotto (di cui Walsingham saggiamente le tacque alcuni dettagli, altrimenti avrebbe dovuto spiegarle che ne sapeva tutto fin dall’inizio e che alcune parti anzi le aveva, in sostanza, provocate di proposito), soprattutto dal fatto che alcuni dei congiurati (come Savage e altri) l’avevano avvicinata più di una volta e altri (Abington e  Windsor) facevano addirittura parte della sua guardia.
Il processo ebbe inizio con un attento interrogatorio di tutti i congiurati. Non che Walsingham non sapesse già tutto: ma, a parte che ovviamente gli occorrevano delle confessioni, gli serviva anche qualcosa di compromettente su Maria. D’altro lato, doveva procedere con prudenza, per evitare di scoprire le sue carte, e in particolare l’identità e il ruolo dei suoi agenti infiltrati. Uno di questi dovette addirittura farsi un anno di carcere per sviare i sospetti…
Savage dichiarò che Maria era al corrente, grazie alle lettere, sia del progetto di attentato a Elisabetta, sia del progetto di invasione, e che li aveva personalmente approvati. Ballard fece lo stesso, aggiungendo una utilissima (per Walsingham) parafrasi della risposta di Maria a Babington.

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