Maria, sconfitta dai nobili ribelli, deve fuggire dalla Scozia.
Maria avrebbe potuto tentare la fuga in Francia; decise invece di andare in Inghilterra, fidandosi di una lettera di Elisabetta che le prometteva aiuto. Ma arrivata in Inghilterra il 19 maggio, fu immediatamente imprigionata. Da allora fino alla morte, Maria sarebbe stata “ospite” della sua cugina inglese, vagando di castello in castello, ora più ora meno lussuoso a seconda dei capricci, delle disponibilità e dell’umore di Elisabetta, ma sempre – naturalmente – accompagnata da un vasto seguito di segretari, cameriere, intendenti, dame di compagnia, e anche con una certa libertà di ricevere visite. In prevalenza alloggiò al castello di Sheffield, presso lord Talbot.
Il castello di Sheffield. C’è di peggio come carcere, dai.
E questo è il carceriere, lord Talbot.
La mossa di Elisabetta, per quanto umanamente sgradevole, non era certo priva di giustificazioni. Maria era una minaccia grave in sé, viste le sue fondatissime pretese alla corona inglese, e visto che il nubilato di Elisabetta rendeva precaria la successione. Se Maria fosse arrivata in Francia, sarebbe stata usata come un’arma dai cattolici francesi contro di lei. Rimandarla in Scozia aveva senso solo se fosse stata accompagnata da un esercito inglese per rimetterla sul trono: sarebbe stato un bel gesto, che forse le sarebbe valso l’eterna gratitudine di Maria (è comunque lecito dubitarne); ma non aveva molto senso farlo, primo perché sarebbe stato troppo costoso, secondo perché i nobili scozzesi erano protestanti (come lo stesso piccolo re di Scozia, Giacomo VI) mentre Maria era cattolica, e quindi il gioco non valeva la candela.
Per di più, il contesto politico non era rassicurante. I nemici cattolici dell’Inghilterra (il re di Spagna Filippo II, i duchi di Guisa in Francia – questi ultimi, poco dopo, nel 1572, avrebbero scatenato la Notte di San Bartolomeo) erano attivissimi nel tramare congiure. Nel 1569, l’anno dopo l’arrivo di Maria, un gruppo di illustri Lord cattolici (in particolare Westmoreland e Northumberland) si sollevò in armi contro Elisabetta, progettando di rimpiazzarla proprio con Maria; il papa provvide ad aiutare i rivoltosi scomunicando Elisabetta, ma la bolla arrivò troppo tardi, a ribellione già domata (1570). Poco dopo, si scoprì una nuova congiura, ideata dal banchiere fiorentino Ridolfi, che prevedeva di far sposare Maria a Lord Norfolk (cognato di Lord Westmoreland) e contemporaneamente far sì che il duca d’Alba, il principale generale spagnolo, organizzasse una spedizione contro l’Inghilterra, in cui contemporaneamente i nobili cattolici si sarebbero sollevati contro la Regina. Ma il complotto fu scoperto e Norfolk giustiziato.
Questo determinò un giro di vite nella politica di Elisabetta contro i cattolici: sempre meno tollerante, la Regina li perseguitò con crescente ferocia, il che però ebbe l’effetto involontario di radicalizzarli sempre più, come dimostra il continuo fiorire di congiure, tra cui, come vedremo, la congiura di Babington, che condusse al processo di Maria.
Sir Francis Walsingham.
E’ giunto però il momento di introdurre il terzo protagonista di questa storia: la spia. Si chiamava Francis Walsingham. All’epoca dell’arresto di Maria e fino al 1572 circa, era stato il principale diplomatico inglese (era lui l’ambasciatore a Parigi all’epoca della Notte di San Bartolomeo); ma poi Elisabetta, promuovendo lord Burghley a Cancelliere, lo volle al posto di questi come Segretario di Stato.
La principale caratteristica di Walsingham era quella di essere un eccezionale reclutatore di spie. Grazie alla sua rete di informatori e alla sua capacità di infiltrare qualunque gruppo di congiurati, tutti i numerosi complotti organizzati contro Elisabetta vennero tempestivamente sventati. E le tecniche di controspionaggio di Walsingham erano all’avanguardia: fu il primo al mondo a dotarsi di esperti di decifrazione (Thomas Philippes, il massimo frequentista dell’epoca, era al soldo di Walsingham), il che, come vedremo, fu cruciale per sventare la congiura di Babington
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