Al principio di dicembre, Elisabetta, benché ancora incerta, fece proclamare pubblicamente in tutto il Regno la condanna. Maria allora le scrisse una lettera, che a quanto pare fece una certa impressione sulla Regina (che a detta di Leicester versò qualche lacrima). Maria comincia ringraziando la cugina di averle restituito il denaro (a suo tempo sequestrato) e l’elemosiniere. Le chiede poi di concederle, dopo morta, di essere seppellita in terra consacrata. Dichiara di essere diffidente di alcuni dei suoi guardiani (probabilmente sospettava di Poulet, ma a torto, come vedremo) e la prega di lasciare presso di sé i propri servitori, in modo da evitare “che la mia esecuzione avvenga a vostra insaputa”, cioè in soldoni: di non essere ammazzata senza ordine di Elisabetta. Dice che le perdona (perché “di tutto quanto è accaduto non vi faccio alcuna colpa, ma prego Iddio che voglia palesarvi tutta la verità dopo la mia morte”) e le restituisce un gioiello che aveva ricevuto a suo tempo da lei; infine, la prega di mandare un suo gioiello e la sua benedizione a Giacomo.
A questo punto seguono due mesi scarsi di vani tentativi diplomatici, da parte di Francia e Scozia, per salvare la vita di Maria. Giacomo ci prova, ma più che altro per la forma, senza molto impegno né convinzione. L’unica cosa che gli premeva era che i suoi (di Giacomo) diritti di successione inglesi non venissero compromessi; quando Elisabetta fece capire che quest’ultimo punto non era in discussione, Giacomo fece marcia indietro. A un certo punto Giacomo aveva fatto anche delle vaghe minacce; ma quando Elisabetta aveva reagito con decisione (minacciando di far uccidere subito Maria, per dimostrare a tutti “in qual conto teneva le minacce dei suoi vicini”), Giacomo si era affrettato, con una lettera di rara vigliaccheria, a scrivere a Leicester spiegando che l’aveva fatto solo per salvare la faccia, che “detestava il suo [della madre] modo di procedere”, e che si guardava bene dall’anteporre i diritti di Maria ai propri. La cosa ovviamente trapelò e non piacque agli Scozzesi, che magari potevano pure odiare Maria ma certo non apprezzavano che la loro (ex) regina venisse ammazzata dagli Inglesi. Così ci furono dispute accanite su che posizione formale prendere. Ma è chiaro che, dopo la lettera di Giacomo a Leicester, Elisabetta sapeva di non aver nulla da temere da quel lato.

Giacomo, qualche anno dopo
Ben più preoccupante poteva essere la reazione francese. Ma la situazione era sfavorevole a Maria: da un lato la Francia si era da tempo avvicinata all’Inghilterra, della cui amicizia aveva bisogno contro la Spagna, e dall’altro le guerre di religione erano la principale preoccupazione di re Enrico III (cognato di Maria) e della regina madre Caterina. Enrico di Navarra (il futuro re Enrico IV), il potente campione dei protestanti francesi, era notoriamente sussidiato da Elisabetta, e quindi Enrico doveva sì intercedere per Maria, ma anche evitare di indisporre Elisabetta tanto da farle accrescere gli aiuti per il re di Navarra, o peggio ancora (Elisabetta ne era certo capace) da indurla a fare un clamoroso giro di valzer e negoziare la pace con Filippo II! Perciò Enrico III mandò a Elisabetta una delegazione composta dai suoi due migliori diplomatici, Chateauneuf e Bellièvre. La missione aveva obiettivi evidentemente troppo vasti e naturalmente non riuscì affatto – ma non perché i due abili ambasciatori non ci abbiano provato. Appena partiti i due alla volta dell’Inghilterra, Elisabetta incarica  i suoi uomini a Parigi di una abile controffensiva:  reclamare l’estradizione di Paget e di Morgan. Naturalmente Elisabetta sapeva che Enrico III non poteva assolutamente accettare: il suo scopo era proprio quello di segnare un punto a suo favore, che l’avrebbe messa in una posizione di forza nel braccio di ferro diplomatico su Maria.
Esistono numerosi resoconti dei colloqui tra Elisabetta e gli ambasciatori francesi. I due diplomatici cercavano di convincere la Regina che le cose non stavano come lei credeva; Elisabetta rispondeva protestando che erano male informati, che Maria era un’ingrata, e concludeva che, se loro avessero potuto indicarle una strada per salvare la sua vita conservando quella di Maria, ella gliene sarebbe stata molto grata, perché aveva “versato più lacrime per questa sciagurata faccenda che per la morte di suo padre, del re Edoardo suo fratello e di sua sorella Maria” (e non si fatica a crederle). C’erano scaramucce diplomatiche (Elisabetta chiedeva perché non estradassero Morgan, gli ambasciatori rispondevano che il Re era già in grossa difficoltà col Papa perché non lo liberava per riguardo all’Inghilterra; gli ambasciatori buttavano lì che Enrico poteva da un momento all’altro riconciliarsi con  il Navarra, che la stimava tanto e anzi perché Elisabetta non sussurrava al Navarra una buona parola, e Elisabetta ribatteva che lei poteva da un momento all’altro far la pace con Filippo…), scaramucce giuridiche con Walsingham e Burghley (gli ambasciatori richiamavano l’inaudita pretesa di giudicare una sovrana, e loro rispondevano che non era una sovrana perché stava in Inghilterra e nello stesso Paese ci può essere solo una sovrana; poi si accapigliavano sull’interpretazione di “precedenti” come la Pro rege Dejotaro di Cicerone o il confronto fra Porsenna e Muzio Scevola), e non appena Elisabetta era in difficoltà si rifugiava dietro le suppliche del Parlamento di farla finita con la scozzese e con l’accusa agli ambasciatori di andare oltre le istruzioni del loro sovrano. Bellièvre riferì al Re che c’erano solo tre mezzi, peraltro dubbi, per salvare Maria: 1) minacciare la rottura di ogni rapporto d’alleanza con l’Inghilterra; 2) trovare un modo di garantire che Maria, risparmiata, rinunciasse a ogni ulteriore congiura (per esempio, riconsegnandola ai francesi ma chiudendola in convento strettamente sorvegliata) e facendole rinunciare a ogni diritto di succssione; 3) ricorrere alla corruzione. Il Re risponde: nessuna altra minaccia, in caso di fallimento delle persuasioni dei suoi ambasciatori verso la Regina, che esternarle il suo “risentimento”; e inoltre, autorizza gli ambasciatori a percorrere (blandamente) le strade 2) e 3). Chiaro che di roba del genere Elisabetta, a ragione, se ne fregasse. Così il 7 gennaio indirizza a Enrico III una bella lettera scritta in francese (lingua che conosceva benissimo) in cui, con molta cortesia, sostanzialmente lo invita a farsi i fatti suoi (“i vosrri Stati, mio buon fratello, non vi consentono troppe incertezze; non allentate, in nome di Dio, la briglia a dei cavalli spaventati perché potrebbero sbalzarvi di sella! Ve lo dico con animo sincero e leale, pregando il Creatore di concedervi una felice e lunga vita”). Com’era abbastanza prevedibile, Enrico si rassegnò. 
Enrico di Francia
Partito Bellièvre, Walsingham decide di levarsi di torno anche Chateauneuf, e così “scopre” un’ennesima congiura sostenendo che vi fosse implicato anche l’ambasciatore: così Elisabetta montò in collera e pretese che Enrico richiamasse Chateauneuf. Di conseguenza, per qualche settimana i francesi si trovarono costretti a discutere di cazzate col governo inglese, mentre nel frattempo Elisabetta procedeva contro Maria (dopo l’esecuzione, Elisabetta riconobbe l’innocenza di Chateauneuf – ma ormai aveva raggiunto il suo scopo).
Però Elisabetta esitava ancora. Di nascosto, cercò di ottenere che Maria venisse eliminata col veleno, per evitare di compromettersi con l’esecuzione. Però Poulet, nonostante l’antipatia che provava per Maria, era un protestante integerrimo e si rifiutò (“scrivo con animo profondamente addolorato e amareggiato, per avere avuto la sventura di vivere tanto avanti negli anni da vedere il giorno infausto in cui si esige da me, per ordine della mia Graziosissima Sovrana, un atto che Iddio e la legge ugualmente proibiscono”). Elisabetta provò con il segretario Davison, ma senza maggior fortuna (“ero fermamente deciso”, scrisse questi, “a non fare nulla che potesse servire di pretesto a sua Maestà per scaricare sulle mie deboli spalle un così grave fardello”).
L’11 febbraio 1587 venne firmato il mandato di esecuzione. Giunti gli incaricati di Elisabetta a Fotheringay il 17 febbraio, Maria la notte prima dell’esecuzione si diede a consolare i suoi servitori (che le chiesero tutti perdono in ginocchio), a distribuire il suo denaro, i suoi gioielli  e i suoi abiti (e disporre per vari lasciti e regalie, con un brevissimo testamento), a scrivere un’ultima lettera (a Enrico III, in cui lo pregava di disporre dei beni di Maria in suo possesso per provvedere ai servitori e per le preghiere in suffragio dell’anima di lei) e a pregare, e in generale dimostrò un’ammirevole fermezza.
L’incisione classica della decapitazione di Maria
Infine la mattina del 18 febbraio Maria venne decapitata. I particolari dell’esecuzione ci sono noti da numerosi resoconti (tra cui uno fatto da un incaricato di lord Burghley), tra cui l’episodio del cagnolino di Maria che rimase per tutto il tempo sotto le gonne della padrona e che venne scoperto solo dopo la morte della padrona, tutto ricoperto di sangue. Maria mantenne per tutto il tempo un atteggiamento gentile  e sorridente (anche quando dovette respingere gli inviti del Decano a unirsi alle preghiere dei protestanti; ebbe perfino lo humor di commentare, quando dovette togliersi le sue pesanti vesti di parata e indossare una sorta di accappatoio che le lasciava libero il collo con l’assistenza dei due boia: “non ho mai avuto simili valletti per svestirmi né mai mi è accaduto di togliermi gli abiti in sì numerosa compagnia”) e insomma diede prova di indiscutibile coraggio. 
Ora che era morta, Elisabetta poteva mostrarsi generosa. Imbalsamata, Maria venne seppellita con tutti gli onori a Westminster, e Elisabetta ebbe pure la faccia tosta di scrivere una lettera di condoglianze a Giacomo…
Un anno dopo, la flotta spagnola (“Armada Invencible”) veniva sgominata, un po’ dalle condizioni atmosferiche e un po’ della navi inglesi, nella Manica: la Spagna perdeva ogni mezzo per sottomettere l’Inghilterra. Elisabetta morì nel 1603 e a succederle fu proprio Giacomo Stuart, che quindi ereditava la corona da colei che aveva fatto decapitare sua madre. Altro che Il Trono di Spade!
E questa è un’altra incisione, più o meno coeva

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