Di processi a Galileo ce ne sono stati due: nel 1615/16 e nel 1632/33, entrambi a Roma. Quello famoso è il secondo, ma il primo ne è la premessa necessaria.
Nel 1615, Galileo è al culmine della fama. Ha 47 anni, essendo nato a Pisa nel 1564. Ha da poco rivoluzionato, in poco più di un anno, anche l’astronomia, perfezionando il cannocchiale e puntandolo al cielo. In tal modo ha scoperto che gli astri celesti, che la teoria aristotelico-tolemaica credeva perfetti e incorruttibili, in realtà hanno imperfezioni (macchie e crateri); che Venere ha delle fasi e gira intorno al Sole; che la Luna non è luminosa ma oscura; che le stelle sono innumerevoli, molte di più di quel che appare ad occhio nudo, e che le nebulose, come la Via Lattea, sono degli ammassi di stelle. Infine, ha scoperto quattro satelliti di Giove, finora mai visti (li battezza Astri Medicei in onore dei granduchi di Toscana) e ha perfino osservato gli anelli di Saturno. Insomma, quanto basterebbe a dare fama universale a dieci scienziati diversi.
Era il colpo di grazia alla teoria tolemaica (quella, cioè, per cui il Sole gira intorno alla Terra). Da tempo si sapeva che quella teoria non funzionava. Per riuscire a giustificare quel che si osservava in cielo, bisognava introdurre eccezioni e complicazioni sempre nuove (come i c.d. epicicli e i c.d equanti).
La teoria copernicana (è la Terra che gira intorno al Sole) spiegava molto meglio i fenomeni, e semplificava parecchio i calcoli. Ma del resto anche la teoria intermedia, quella di Tycho Brahe (secondo cui tutti i pianeti giravano intorno al Sole, che a sua volta girava intorno alla Terra), riusciva a spiegare le apparenze molto meglio di quella tolemaica.
Però, almeno fino a Galileo, la teoria copernicana non aveva suscitato un vero scandalo, un po’ perché era rimasta sostanzialmente ristretta a pochi dotti, e un po’ perché i protestanti inizialmente l’avevano rifiutata. La Chiesa aveva adottato una posizione pragmatica: finché la teoria copernicana era adoperata come semplice ipotesi, che permetteva di calcolare i fenomeni celesti meglio di quella tolemaica, non c’era nessun problema.
Le scoperte galileiane, che dimostrano nel concreto le manchevolezze della teoria tolemaica, sono perciò dirompenti. I guai cominciano quasi subito, e proprio in Toscana, dove da poco Galileo è tornato (prima insegnava a Padova), come matematico e filosofo del Granduca.
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