Ora tocca all’avvocato di Baudelaire. Il quale fa un discorso ben più lungo della requisitoria, peggio strutturato e meno chiaro. L’inizio, che parla delle qualità di Baudelaire (un grande artista, un poeta profondo e appassionato, un galantuomo) e del suo impegno come scrittore (“la sua opera, egli l’ha lungamente meditata… è il frutto di più di otto anni di lavoro”), ricorda un po’ l’attacco di Senard nel processo a Flaubert. 
Sfortunatamente, d’Est-Ange non può citare l’argomento più rassicurante sulla moralità dell’autore: i soldi (che invece a Flaubert non mancavano). Quindi prosegue descrivendo il “dolore” che l’accusa ha provocato all’imputato. Ma insomma, dov’è seriamente il dubbio sull’intenzione del poeta? L’accusa ha parlato di un metodo che consiste nel tutto dipingere, tutto mettere a nudo: ammettiamo pure che sia vero. Ma come si può dubitare che questa pittura serva al solo scopo di denunciare il male? È stato giustamente detto che il giudice non è un critico: quindi non si tratta di giudicare la forma del libro, ma la sostanza; non bisogna fermarsi a qualche parola, ma guardare l’intenzione. E l’intenzione è stata spiegata benissimo dal poeta stesso al principio dell’udienza; e il fatto che sia sincero, lo mostra innanzitutto la sua “perfetta onorabilità”. Ma lo mostra anche il libro stesso: subito, con il titolo; poi, con l’epigrafe (da Agrippa d’Aubigné); infine, coi primi versi del primo pezzo (il celebre Au lecteur). Siamo solo all’inizio dell’arringa, e l’avvocato difensore ha già letto quasi altrettanti versi che Pinard nell’intera requisitoria.
L’avvocato difensore, Gustave Chaix d’Est-Ange
L’intenzione dell’autore, insomma, è proba. Ma allora vorremo forse condannare il poeta per il suo metodo? Eppure tutti gli autori, in ogni tempo, hanno fatto così, cioè esagerare, caricare le tinte, per meglio mostrare l’orrore delle cose esecrabili. E qui d’Est-Ange ci va giù pesante con gli esempi, che ahimé durano a lungo. Innanzitutto Molière, col Tartufo. Poi Balzac, poi il vescovo Fénélon. Insomma, gli scrittori classici francesi non sono mai stati accusati d’immoralità per il fatto di descrivere peccati, vizi e orrori. E Baudelaire, dal canto suo, non ha mica mai detto che i suoi Fiori del male fossero belli, che profumassero, né ha mai preteso di farsene una corona e ornarsene la fronte. Al contrario, li ha castigati già a partire dal titolo. L’avvocato arriva perfino a leggere un passo della recensione di Barbey d’Aurévilly (quel Barbey che sarà a suo tempo anche lui processato per immoralità, ma dalla Terza Repubblica, e sarà assolto).
Baudelaire ha forse oltrepassato i limiti della morale? La legge

non è una legge d’intolleranza; non ha per oggetto di armare contro tutti gli autori tutte le possibili scontentezze di un rigoroso casuista, tutte le suscettibilità di uno spirito facile a inferocirsi,

(e qui cita una poesia di Gautier, il dedicatario dei Fiori). Per cadere sotto i rigori della legge, dice l’avvocato, occorre che la licenza delle parole abbia raggiunto le dimensioni dell’oltraggio.
L’avvocato passa quindi a esaminare in dettaglio “i tre pezzi che sono stati segnalati per oltraggio alla morale religiosa”: è una mossa inutile, dato che già l’accusa aveva rinunciato al capo d’accusa non ritenendo che vi fosse prova dell’intento. Nega che possano essere letti separatamente, e legge invece una lunga poesia di Lamartine per far notare che le stesse accuse potebbero essere mosse contro quell’autore insospettabile (e mai perseguito da nessuno, infatti). In realtà questo, riflette l’avvocato difensore, è il pericolo di giudicare un’opera intera in base a qualche verso qua e là estrapolato dal contesto: in questo modo, qualunque opera potrebbe essere condannata (è di nuovo la manovra che aveva salvato Flaubert). Lo stesso problema, conclude d’Est-Ange, si pone per l’altro capo d’accusa, cioè l’offesa alla morale pubblica. Pinard ha chiesto sì una condanna mite, ma comunque una condanna, a carico di solo alcuni pochi pezzi del libro, perché bisogna “lanciare un avvertimento”. 
Ma l’avvocato difensore chiede: “è giusto, poiché un avvertimento pare necessario al pubblico ministero, che un simile avvertimento cada proprio sulla testa di Baudelaire?” Ammettiamo che sia vero che perseguire gli uni anziché gli altri sia una scelta discrezionale del giudice: ebbene, allora perché questa discrezionalità la volete esercitare proprio contro Baudelaire? Insomma, dice d’Est-Ange, io non è che voglia sollecitare la condanna di nessuno. Purtuttavia, la legge è una, la morale pubblica è una, e allora non ci possono essere due pesi e due misure. 
L’argomento non sarebbe male, ma purtroppo Pinard lo aveva già magistralmente depotenziato, con la sua teoria dell’opportunità, sicché la difesa doveva smontare semmai quest’ultima. Teoria che tra l’altro era, ancor più sottilmente, formulata in modo tale da risultare un elogio di Baudelaire (infatti, se altri poeti che avevano fatto di peggio sono stati tollerati, vuol semplicemente dire che Baudelaire, essendo un poeta migliore, è anche più pericoloso!)
La prima edizione
D’Est-Ange cita poi ampi stralci di Lesbos e delle Femmes damnées per dimostrare le grandi qualità della poesia di Baudelaire; però si accorge di star esagerando e si giustifica: “non ho resistito al desiderio di citarvi questi bei versi”, ma voi, signori, dovete rileggere tutte le poesie incriminate e chiedervi se davvero quelle poesie oltraggiano la morale pubblica; magari comparerete questi versi a quelli di altri autori, celebri e amati da tutti.  Per esempio, Musset; oppure Béranger (che però era stato condannato per ben tre volte); o infine Gautier. Ma insomma: dopo aver letto tutte queste cose, veramente voi volete condannare Baudelaire? E si potrebbe continuare a citare di peggio un po’ dappertutto: Rabelais, La Fontaine, Voltaire, Rousseau, Beaumarchais, il presidente Montesquieu, George Sand… Conclude il difensore: a questo punto, fate un po’ voi; io vi ho mostrato chi è Baudelaire, il suo metodo, le sue intenzioni; vi ho mostrato che nel suo libro non c’è niente di paragonabile a quanto nella nostra letteratura più celebrata si ritrova a ogni pié sospinto e si ristampa ogni giorno; confido che non vorrete colpire questo galantuomo, questo grande artista, e che lo assolverete. 
Baudelaire pensava molto male dell’arringa del suo difensore, forse un po’ ingiustamente visto che gran parte degli argomenti più deboli glieli aveva suggeriti lui stesso. Quindi parla l’avvocato dello stampatore, de Broisse, a quanto pare maluccio. Un amico di Baudelaire, il poeta Asselineau, improvvisò questi versi per commentare l’ultima  arringa:

De Broise, imprimeur d’Alençon,

à Lançon confie sa défense:

Lançon prononce en râlant son

plaidoyer de peu d’importance

(cioè: “De Broise, tipografo di Alençon,/affida la sua difesa a Lançon:/Lançon pronuncia ragliando la sua/arringa di poco momento”).
Invece l’editore, Poulet-Malassis, era rimasto contumace.

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