Finite le difese, arriva subito la sentenza.

Quasi subito, arriva la breve sentenza:  premesso che non c’è prova del reato di oltraggio alla morale religiosa, per cui il poeta va assolto, per quanto attiene invece all’oltraggio alla morale pubblica, “l’errore del poeta nel fine che voleva attingere e nella via che ha seguito, per quanti sforzi di stile abbia potuto fare, per quanto biasimo preceda o segua le sue pitture, non potrebbe distruggere [sic] l’effetto funesto dei quadri che presenta al lettore, e che, nei testi incriminati, conduce necessariamente all’eccitazione dei sensi grazie a un realismo grossolano e offensivo del pudore”. Quindi, il Tribunale condanna tutti gli imputati a una ammenda (300 franchi Baudelaire, 100 ciascuno Poulet-Malassis e de Broise) oltre che alle spese del processo, e ordina la soppressione di sei delle tredici poesie imputate: si tratta di Les Bijoux, Le Léthé, À celle qui est trop gaie, Lesbos, una delle due Femmes Damnées (Delphine et Hippolyte) e Les métamorphoses du Vampire.
Per quanto fosse, di fatto, una sentenza mite (non solo il libro non era stato vietato nella sua interezza, ma altri autori condannati, prima e dopo Baudelaire, dovettero scontare mesi o addirittura anni di galera, e pagare multe molto superiori), Baudelaire ci rimase malissimo (a dire il vero, secondo alcuni resoconti pare che si fosse offeso soprattutto perché Pinard non lo aveva invitato a cena). All’uscita, a un amico che gli chiedeva se si attendesse di essere assolto, rispose: “Assolto? Io mi aspettavo di ricevere delle scuse!” Per tutta la vita continuò a pensarci e a credere a un “malinteso”. 
Ciononostante, non fece appello: ci aveva pensato e aveva fatto visita al Procuratore, il quale gli sconsigliò di impugnare e gli suggerì piuttosto di chiedere una riduzione di pena. Lo avevano sconsigliato dall’appello anche i coimputati. Scrisse quindi all’imperatrice Eugenia, il 6 novembre, una lettera gentile e spiritosa, in cui in sostanza diceva: avevo creduto di fare un’opera bella e grande, e soprattutto chiara; ma pare invece che fosse tanto oscura da condannarmi a rifare il libro e a toglierne alcuni pezzi (sei su cento). “Devo dire che sono stato trattato dalla giustizia con una cortesia ammirevole, e che i termini stessi della sentenza implicano il riconoscimento delle mie alte e pure intenzioni”. Tuttavia, l’ammenda superava “i limiti della proverbiale povertà dei poeti”, sicché era costretto a chiedere l’intercessione dell’imperatrice sul ministro Guardasigilli affinché l’importo venisse ridotto. Fu accontentato: poco dopo, l’ammenda fu portata a soli 50 franchi (comunque ancora troppo per le tasche bucate del poeta, il quale comunque, scroccando un prestito qua e là, riuscì a pagare). 
Apparso a Bruxelles, in una elegantissima veste editoriale, con incisione all’antiporta di Rops
Più tardi, in Belgio, le poesie condannate vennero stampate in un librino a parte, intitolato Les Épaves (I relitti). Il libro venne nuovamente processato in Francia, e l’editore condannato (nel 1868). Baudelaire era già morto.
Col tempo, i Fiori del Male divennero un libro dallo statuto ambiguo. Da una parte, erano ammirati e letti dovunque, anche nelle scuole. Dall’altra, la condanna del Tribunale correzionale del 1857 era tuttora in vigore, sicché le copie del libro contenenti, nelle ristampe successive, le poesie condannate, erano tuttora passibili di sequestro e multa (come a volte in effetti accadde). Perciò  prima alcuni critici, poi la Société Baudelaire (presieduta dalla nipote di Poulet-Malassis e di de Broise) chiedono la revisione della condanna, nel 1925. Ma il tribunale rigetta la domanda: non erano intervenuti “fatti nuovi” a giustificare la revisione, sicché, in base alla legge vigente, la cosa era impossibile. Che fare?
La tomba di Baudelaire.

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