Quattro mesi dopo la fine del processo a Flaubert, escono in volume i Fiori del Male. Ha inizio una vicenda ancora più incredibile di quella che aveva avuto per bersaglio Madame Bovary.
Il volume di Baudelaire esce nel giugno 1857, quattro mesi dopo l’assoluzione di Flaubert. L’editore è Poulet-Malassis, lo stampatore de Broise. Il libro contiene 100 poesie. Una metà circa è già uscita su varie riviste (una delle quali è di nuovo la Revue de Paris). Il 5 luglio, sul Figaro, un tal Bourdin pubblica una violenta stroncatura del volume, definito “immorale”. Non che manchino le recensioni favorevoli, anzi (la pubblicazione di alcune di queste, peraltro, viene “bloccata” da ordini del Governo); ma l’autorevolezza del Figaro è sufficiente a mettere in allarme la giustizia. Solo due giorni dopo, il 7 luglio, la Procura denuncia il libro per oltraggio alla morale pubblica e offesa alla morale religiosa (gli stessi due capi d’accusa usati per Flaubert). La discussione della causa è fissata al 20 agosto. Vengono evidenziati, nel capo d’accusa, un piccolo numero di poesie, in tutto tredici: Les Bijoux, Le Léthé, À celle qui est trop gaie, Lesbos, Femmes Damnées I e II, Les métamorphoses du Vampire, Sed non satiata e À une mendiante rousse per oltraggio alla morale pubblica, e poi Abel et Cain, Les Litanies de Satan, Le reniement de St. Pierre e Le Vin de l’Assassin per oltraggio alla morale religiosa. Baudelaire è molto colpito dall’accusa. Raccontò in seguito più volte di aver, proprio per evitare una incriminazione, escluso dal volume diverse poesie “problematiche” (ma la cosa è controversa). Fa diverse mosse per evitare una condanna; a un certo punto, chiede alla donna che ammira di più, M.me Sabatier (“Celle qui est trop gaie” della celebre poesia omonima), di intercedere per lui presso le sue conoscenze influenti; chiede inutilmente aiuto a Sainte-Beuve (che si guarderà bene dal prendere posizione in pubblico, limitandosi a scrivergli letterine affettuose in cui lo chiama “mon cher enfant” e a mandargli delle noterelle per la difesa) e a Mérimée (che mantiene il silenzio, ritenendo il libro “mediocre” ma anche “innocuo”).

Come difensore, si prende Gustave Chaix d’Est-Ange, che però non è un avvocato esperto né molto noto, a differenza del padre (e di Senard): è possibile che Baudelaire l’avesse scelto solo per via del suo interessante cognome. Il sostituto procuratore è invece una nostra vecchia conoscenza, Pinard, che era uscito battuto dalla causa contro Flaubert e che, forse per questo, adotterà una tattica molto diversa contro Baudelaire. Ma va subito notato che Baudelaire, a differenza di Flaubert, non ha una famiglia illustre dietro, non ha contatti nella cerchia del potere, e per finire non ha soldi né particolari benemerenze politiche (è un repubblicano). Nel suo solito modo bizzarro, Baudelaire invia copie del libro al giudice istruttore e al sostituto, e li va anche a trovare prima del processo (li giudicherà “abominevolmente brutti” e Pinard “temibile”). A quanto pare, nel corso di queste visite cercò di convincere i giudici della sua teoria etico-estetica (i poeti hanno una morale propria, diversa da quella degli uomini comuni, sicché è errato giudicarli sulla base di questa), ma senza grande successo – anche se l’evidente sincerità personale di Baudelaire colpì comunque il pubblico ministero, come vedremo. Negli appunti di Baudelaire per l’avvocato, si vede che per il poeta la linea di difesa doveva ruotare attorno all’unità inscindibile del libro (un “insieme perfetto”). I Fleurs sono da giudicare solamente “nel loro insieme, e allora ne emerge una terribile moralità”. In altri termini, il libro condanna il vizio, e tutti i poemi “immorali” sono controbilanciati da altri “morali”, come pure il tutto va inquadrato all’interno di una architettura complessiva che va dall’introibo di Au lecteur fino all’ultima poesia. Il libro ha un prezzo elevato, che quindi lo destina a pochi lettori; è rivolto agli uomini, non alle donne (e dunque il principale capo d’accusa contro Flaubert, cioè l’attitudine a pervertire la morale delle fanciulle, naturali lettrici di romanzi, non ricorre contro Baudelaire).

Esistono due morali diverse e anche due libertà diverse, una per i geni, una per gli uomini comuni. Perché a Baudelaire non sarebbe permessa la stessa libertà concessa a Béranger (poeta che sia Baudelaire sia Flaubert detestavano)? E cosa è meglio nel trattare certi temi, la tristezza o l’allegria, l’orrore o la spensieratezza nel vizio? Il libro mira a descrivere, insiste Baudelaire, “l’agitazione dello spirito nel male”. Ricorda poi le difese, come quelle scritte da Asselineau e da Barbey d’Aurévilly, che però un ordine del Governo aveva vietato ai giornali di pubblicare. Ma il regime dovrebbe essere contento di rendersi illustre per la pubblicazione di libri di valore. E poi cos’è questa morale “prude, bégueule, taquine”? Questa morale arriverebbe al punto di dire che “ormai non si faranno altro che libri consolanti e che mirino a dimostrare che l’uomo è nato buono, e che tutti gli uomini sono felici – abominevole ipocrisia!” L’avvocato userà molti di questi argomenti.
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