Arriva finalmente il momento della sentenza.
Arriva infine il momento della sentenza.
Dopo aver sentito gli altri difensori (Desmarest per l’editore Pichat e Faverie per lo stampatore Pillet), il 7 febbraio, quindi con un discreto intervallo, il Tribunale dà lettura della sentenza (breve, com’è usanza ancora oggi dei giudici francesi). Il Tribunale opina che sì, effettivamente, se presi isolatamente, i passi incriminati (un totale di 6 pagine su 300) sono tali da attentare al buon gusto, alla morale e alle istituzioni (“che sono la base della società”), e lo stesso potrebbe forse dirsi di altri passi non menzionati nell’incriminazione. Pertanto l’opera “merita un severo biasimo, perché la missione della letteratura dev’essero ornare e ricreare lo spirito elevando l’intelligenza e depurando i costumi ancor più che imprimere il disgusto del vizio offrendo il quadro dei disordini che possono esistere nella società ”. Tuttavia, gli accusati hanno energicamente protestato  di aver avuto esclusivamente un fine morale, mostrando in particolare la disgrazia e la rovina che attendono la donna adultera. Il tribunale commenta: “questo dato, senza dubbio morale nel suo principio, avrebbe dovuto essere completato nei suoi sviluppi da una certa severità di linguaggio e da una contenuta riserva, in ciò che tocca in particolare la descrizione (…) Non è permesso, col pretesto della pittura di carattere o del colore locale, riprodurre nei loro scarti i fatti, detti e gesti dei personaggi; un simile sistema… condurrebbe a un realismo che sarebbe la negazione del bello e del bene e che, generando delle opere ugualmente offensive per l’occhio e lo spirito, commetterebbe continui oltraggi alla morale pubblica e ai buoni costumi; ci sono dei limiti che la letteratura, anche la più leggera, non deve sorpassare, e di cui Gustave Flaubert e i coimputati non si sono sufficientemente preoccupati; ma l’opera di Flaubert  sembra essere stata oggetto di un lavoro lungo e tenace, dal punto di vista letterario e dello studio dei caratteri; i brani oggetto dell’accusa, per quanto reprensibili, sono poco numerosi se li si compara al volume dell’opera; e questi passaggi, sia nelle idee che espongono, sia nelle situazioni che rappresentano, rientrano nell’insieme dei caratteri che l’autore ha voluto dipingere, esagerandoli e impregnandoli di un realismo volgare e spesso scioccante; Gustave Flaubert protesta il suo rispetto per i buoni costumi e tutto ciò che ha a che fare con la morale religiosa; non sembra che il suo libro sia stato, come certi altri, scritto all’unico scopo di dare una soddisfazione alle passioni sensuali, allo spirito di licenza e di deboscia, o di ridicolizzare cose che devono invece essere circondate dal rispetto di tutti; egli ha avuto solo il torto di perdere a volte di vista le regole che ogni scrittore che si rispetti non deve mai violare, e di dimenticare che la letteratura, come l’arte, per compiere il bene che è chiamata a produrre, non deve solo essere casta e pura nella forma e nell’espressione”; per queste ragioni, siccome “non è sufficientemente provato che Pichat, Gustave Flaubert e Pillet si siano resi colpevoli dei reati imputati”, sono tutti assolti; spese compensate.
Il film di Minnelli
Gli strani contorcimenti della sentenza, rilevati da molti già all’epoca, assieme al ritardo nella sua pronuncia, hanno dato spazio a ipotesi, diremmo oggi, complottiste. Secondo qualcuno, il Tribunale si sarebbe inizialmente orientato a condannare Flaubert (a due anni), ma la notizia in qualche modo sarebbe trapelata alla difesa, che sarebbe riuscita in extremis, intervenendo sul circolo interno dell’imperatore, a trasformarla in una assoluzione previa una sorta di condanna “morale”. Questa teoria, per quanto sia suggestiva e indubbiamente spieghi bene le altrimenti ineffabili contraddizioni della sentenza, purtroppo è sprovvista di ogni prova. 
È interessante quel che accadde dopo. L’accusa decise di non ricorrere in appello, per evitare, con una nuova assoluzione, di dare ulteriore risalto alla vicenda; ad ogni modo, l’edizione in volume del romanzo fu ritardata fino alla scadenza del termine per l’appello. Ma è interessante che le moltissime correzioni del testo che seguirono le varie edizioni del romanzo andarono, molto spesso, nel senso indicato dalle censure di Pinard: come, se, inconsciamente, Flaubert avesse introiettato la critica del Pubblico Ministero. Ironicamente, anche il film di Minnelli è riuscito a superare i veti della censura e del codice Hays solo grazie a dei massicci interventi che hanno radicalmente alterato la trama e il carattere dei protagonisti, specie Emma e Charles, in modo tale da rendere il risultato finale non dissimile da quel che avrebbe voluto Pinard.

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