Come sceglie di difendersi Flaubert?
Pinard continua la sua requisitoria.
Poi Pinard passa a confutare, diciamo così,  preventivamente i prevedibili argomenti della difesa. Dire che la morale è salva perché alla fine l’adultera viene punita (muore atrocemente, dopo essersi avvelenata) non lo convince: per evitare ogni sanzione, se così fosse, basterebbe far finire all’ospizio una prostituta di cui si sono descritte in ogni dettaglio tutte le spudoratezze! E poi, è vero che Emma muore avvelenata; ma “muore alla sua ora e al suo giorno, muore non perché è adultera, ma perché l’ha voluto; muore in tutto il prestigio della sua giovinezza e della sua bellezza;  muore dopo aver avuto due amanti, lasciando un marito che l’ama, che l’adora, che troverà il ritratto di Rodolphe, che troverà le sue lettere e quelle di Léon, e che, dopo tutto questo, l’amerà ancor di più, oltre la tomba. Chi può condannare questa donna nel libro? Nessuno…. Se voi ci trovate un solo personaggio savio, se voi ci trovate un solo principio in base al quale si possa condannare l’adulterio, avrò torto.” L’onore coniugale non può certo condannare la protagonista, dato che il marito è un debole; né tantomeno lo può fare l’ opinione pubblica, rappresentata da un bestione come il farmacista Homais; e nemmeno la religione, nel romanzo rappresentata da un prete materialista. Insomma, il solo personaggio che domina il romanzo è proprio lei, Emma Bovary. Da un certo punto di vista, si potrebbe dire che, per Pinard, la “colpa” di Flaubert è che nel romanzo manca una requisitoria (punto rilevato anche da Baudelaire nella sua recensione). Altro errore del pubblico ministero è quello di credere che, poiché Flaubert chiaramente disprezzava il matrimonio, di necessità quindi glorificasse l’adulterio. Ma Madame Bovary non è un romanzo immorale, ma solo un romanzo amorale.
La perorazione finale è breve ma molto efficace. Per condannare Emma, occorre la morale cristiana, cioè “il fondamento della civiltà moderna”. “In suo nome l’adulterio è stigmatizzato, condannato, non perché è un’imprudenza, che espone a delusioni e rimpianti, ma perché è un crimine contro la famiglia. Voi stigmatizzate e condannate il suicidio non perché è una follia, il folle non è responsabile, non perché è una viltà, a volte richiede un certo coraggio fisico, ma perché è disprezzo del dovere nella vita che si conclude, e grido d’incredulità nella vita che comincia. Questa morale stigmatizza la letteratura realista, non perché essa dipinge le passioni: l’odio, la vendetta, l’amore; il mondo non vive che lì, e l’arte deve dipingerli; ma quando li dipinge senza freno, senza misura. L’arte senza regole non è più arte; è come una donna che lasciasse ogni vestito. Imporre all’arte l’unica regola della decenza pubblica, non è asservirla, ma onorarla. Non si diviene grandi che con una regola. Ecco, signori, i principi che professiamo, ecco una dottrina che difendiamo con piena coscienza”.  
Pinard ha parlato per circa due ore: per gli standard dell’epoca, una requisitoria breve.
A quel punto, si alza l’avvocato difensore.
Questo è Senard visto da Daumier (scusate se è poco)
Si chiama Antoine Marie Jules Senard. Nato nel 1800, quindi di circa vent’anni maggiore di Flaubert e di Pinard, era anche lui di Rouen. Personaggio ragguardevole, aveva ricoperto cariche politiche illustri (il culmine fu la presidenza dell’Assemblea Costituente nel 1848), ma aveva perso ogni ruolo pubblico con l’avvento del Secondo Impero e si era quindi rimesso alacremente a fare l’avvocato. Riprese con successo la carriera politica alla caduta di Napoleone III. Era un buon amico della famiglia Flaubert. 
La maggior parte dei commentatori ha notato quanto la visione estetica di Senard assomigliasse a quella dell’accusa. Anche per l’avvocato difensore i romanzi hanno lo scopo di edificare i lettori; anche per Senard il “realismo” è un movimento deteriore e pericoloso; l’unica differenza con l’accusa (ma non è una differenza da poco) è che per Senard Madame Bovary è un romanzo che ha non solo un intento morale, ma che lo realizza compiutamente; insomma, è un romanzo morale, un romanzo che distoglie dal vizio e persuade alla virtù.  Niente di più lontano, insomma, dal vero credo estetico di Flaubert, che però si guardò bene dall’esprimerlo. La ragione è talmente ovvia da sfuggire: le vere opinioni di Flaubert (come quelle di Baudelaire) non avrebbero riscosso il minimo successo in tribunale, sicché Flaubert capì subito che gli conveniva tacerne e lasciarsi difendere da Senard, le cui opinioni in materia indubbiamente Flaubert doveva trovare ridicole – benché utili per cavarsela in tribunale. Qualcuno malignamente ha notato quanto le parole di Senard al processo assomiglino a quelle del personaggio del romanzo che più incarna l’imbecillità compiaciuta e filistea, cioè Homais. E c’è da ricordare la delusione di tanti, come Proust, per il fatto che Flaubert abbia accettato di farsi assolvere per delle ragioni sbagliate, e contrarie alle sue più profonde convinzioni, invece di farsi gloriosamente condannare per delle ragioni vere. (Secondo me, Flaubert invece ha fatto benissimo.)

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