Gustave Flaubert pubblicò il suo primo romanzo, Madame Bovary, a puntate (sei tra ottobre e dicembre 1856) sulla Revue de Paris: un’importante rivista letteraria, dove lavorava come redattore un ottimo amico di Flaubert, Maxime du Camp. È possibile che già questo semplice fatto abbia provocato l’irritazione delle autorità imperiali: infatti la rivista era considerata dalla cricca dell’imperatore come un focolaio di opposizione liberale al regime, e di fatto venne sospesa dopo l’attentato di Felice Orsini, nel 1858. Questa, almeno, era l’interpretazione che predominava tra gli amici di Flaubert.
Maxime Du Camp
Peggio ancora, successe che la rivista chiese a Flaubert, data la prevedibile opposizione del tribunale penale, di sopprimere un brano del romanzo, che i redattori consideravano troppo audace. Si tratta della scena del viaggio in carrozza di Emma e Léon. A dire il vero il brano si limita a far intuire cosa accade nella carrozza descrivendola dall’esterno ed è ben poco pruriginoso - verosimilmente neanche per gli standard dell’epoca, molto più rigidi dei nostri. Flaubert si irritò per la richiesta e, pur accettando di togliere il pezzo, pretese che nella rivista  venisse segnalato il taglio, con una nota. Molti sostengono che, in questo modo, venne attirata l’attenzione della censura imperiale, indotta a credere che nel brano tagliato ci fosse scritto chissà cosa, e in questo modo si diede ancora più impulso all’accusa. Infine, pare (ma la cosa non è ben documentata e molti lo negano) che Flaubert, seccato per la censura della Revue de Paris, abbia mandato a un giornalista di una rivista concorrente dei brani, apparsi su altri numeri della Revue de Paris, ben più osceni, come a dire: questi fanno tanto i moralisti con me, ma guardate che porcate hanno pubblicato senza neanche fiatare! Una mossa obiettivamente poco brillante – ma, ripeto, pare non sia vero.
La prima edizione
La cosa più sorprendente del processo, secondo molti, è la misura in cui si assomigliano le visioni estetiche dell’accusa e della difesa. Entrambe ritengono, in sostanza, che l’opera d’arte non debba pervertire la morale, e che anzi compito dell’arte sia mostrare al pubblico quale sia il cammino della virtù. Non concordano solo su un punto, peraltro cruciale: se cioè Madame Bovary possa indurre i lettori, e specie il pubblico femminile (il più interessato ai romanzi, e il più facilmente influenzabile), alla virtù o non piuttosto al vizio. Ma nessuno al processo sostenne una tesi che invece era cara a Flaubert (come a Baudelaire), che infatti la ripeteva continuamente ai suoi amici (lo  sappiamo grazie alla sua corrispondenza): cioè che l’arte è fine a se stessa, dunque non ha scopi diversi da quelli esclusivamente estetici (che, seguendo una formulazione di Théophile Gautier, suonava come l’art pour l’art); né qualcuno sostenne un’altra cosa che parimenti Flaubert ripeteva spesso, cioè che l’arte riproduce la verità. Quest’ultimo aspetto produsse un piccolo paradosso, in quanto l’accusa al processo sostenne che Madame Bovary fosse un romanzo realista; la difesa affermò invece che si trattava di un romanzo idealista; contemporaneamente Flaubert era amico di alcuni scrittori che si dicevano “realisti” (Champfleury, i Goncourt), ma in realtà non li apprezzava molto e quelli, dal loro canto, lo prendevano un po’ in giro pur trattandolo, almeno in pubblico, come una specie di caposcuola (ma tempo dopo, senza più ironia, Zola considerò Flaubert l’antesignano del “naturalismo”). La tesi che l’arte è fine a se stessa è invece quella che il film di Vincente Minnelli mette in bocca a Flaubert/James Mason: ma al processo vero nessuno la sostenne, verosimilmente perché non avrebbe incontrato il favore dei giudici. Un altro paradosso è stato notato: che Flaubert aveva dedicato anni a cancellare se stesso dall’opera, a acquistare la sua famosa “impersonalità” (si ricorderà la sua famosa esclamazione, che le opinioni del signor Gustave Flaubert non lo interessavano minimamente), ed ecco che Pinard e la polizia lo obbligano a rimettere al centro la sua persona (i suoi mezzi, la sua famiglia, le sue abitudini, i suoi gusti, eccetera) proprio tutto quello che aveva voluto cancellare!

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