Il 1857 è un annus mirabilis per i processi ai libri in Francia. Tre libri all’epoca molto famosi infatti vengono processati per oltraggio alla morale pubblica e al buon costume: due vengono condannati, uno assolto. Uno di quelli condannati (Les mystères du peuple, di Eugène Sue) oggi è quasi sconosciuto salvo che a alcuni studiosi di storia della letteratura francese (e anche lì non a tutti), era una pubblicazione a puntate cominciata anni prima e inoltre aveva una chiara connotazione politica di tipo sovversivo, il che spiega in certa misura la condanna.
Eugène Sue, un famosissimo autore di romanzi a puntate
Invece gli altri due libri, di cui parleremo appresso, sono famosissimi ancora oggi e non avevano alcun lato politicamente sovversivo. In realtà, è perfino difficile, oggi, capire cosa avessero di offensivo. Uno dei due libri, per di più, era un libro di poesie: Les Fleurs du Mal, di Charles Baudelaire. L’altro era un romanzo: Madame Bovary, di Gustave Flaubert.
Il romanzo flaubertiano apparve alla fine del 1856, a puntate su una rivista. Le poesie di Baudelaire, invece, dopo essere apparse su varie riviste nel corso degli anni, furono infine pubblicate in volume, assieme a molte altre inedite, nel 1857, poco dopo il processo a Flaubert.
Flaubert e Baudelaire avevano molto in comune. Ma la similitudine più sorprendente fra le loro vicende giudiziarie, per il resto diverse, fu che i due scrittori vennero processati nello stesso anno, per gli stessi reati, dallo stesso pubblico ministero: Ernest Pinard. Anche molti degli argomenti utilizzati dalle difese nei due processi furono simili.
La legge francese che permetteva i processi ai libri non era nata con Napoleone III. Era del 17 maggio 1819, e stabiliva, all’art. 8, che ogni oltraggio alla morale pubblica e religiosa fosse punibile con l’arresto da un mese a un anno e una ammenda da 16 a 500 franchi. La successiva legge del 26 maggio 1819 aggiungeva che, in caso di condanna, i libri o porzioni di essi condannati sarebbero stati “soppressi”.
Tuttavia il regime di Napoleone III innegabilmente fece fare un salto di qualità alla repressione in campo culturale. Furono condannate perfino opere pubblicate la prima volta un secolo prima ma ristampate da poco (come accadde al Sofà di Crébillon e ai Gioielli indiscreti di Diderot, condannati nel 1852).
Un caso piuttosto significativo fu quello dei fratelli Goncourt, che si videro processati nel 1852 per un articolo nel quale citavano dei versi di un poeta minore del Cinquecento, tal Tahureau. I versi li avevano trovati in una antologia curata dal celebre critico Sainte-Beuve, apparsa nel 1829. I due fratelli lo fecero notare, ma inutilmente: furono comunque processati, e se la cavarono (con una reprimenda, ma nessuna condanna, perché i giudici rilevarono l’assenza, da parte degli autori, dell’intenzione di oltraggiare la morale) solo perché il pubblico ministero fu sostituito da un altro, un po’ meno accanito.
I fratelli Goncourt, in una loro caratteristica espressione di cordiale soddisfazione
All’epoca gli atti dei processi, a parte la sentenza, non venivano pubblicati. E la gran parte dei fascicoli processuali vennero distrutti nell’incendio appiccato al Palais de Justice al tempo della Comune (1870-1871). Quelli del processo a Flaubert sono giunti fino a noi perché il ricco imputato aveva chiamato, a sue spese (a 60 franchi l’ora), uno stenografo che registrò sia la requisitoria del pubblico ministero sia l’arringa del difensore, e successivamente le fece pubblicare. Anzi, col tempo gli atti del processo vennero visti sempre più come un naturale complemento di Madame Bovary, tanto che già le ultime edizioni del romanzo pubblicate vivente Flaubert recavano in appendice gli atti del processo. In un certo senso, l’associazione fra il romanzo e gli atti processuali divenne talmente ovvia che perfino la più importante delle trasposizioni cinematografiche del romanzo, il film del 1949 di Vincente Minnelli, racconta la storia incorniciandola dentro il processo del 1857 (sia pure ricreato molto liberamente). Per non parlare del fatto che il romanzo, quando uscì in volume, venne addirittura dedicato all’avvocato difensore.
Invece Baudelaire, che non aveva mai un soldo e non ce l’aveva neanche all’epoca del processo, non aveva assunto nessuno stenografo. Perciò i testi che conosciamo di requisitoria e arringa sono dubbi e risalgono verosimilmente a riscritture fatte anni dopo, forse dallo stesso pubblico ministero e dallo stesso difensore, sulla base di appunti; un po’, diciamo, quel che fece Cicerone riscrivendo la Pro Milone. Ci sono giunte in compenso delle scalette, preparate una da Baudelaire per l’avvocato difensore, e una da Sainte-Beuve per Baudelaire, che indicano in modo succinto buona parte degli argomenti effettivamente usati nel processo.
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