Il ministro Barthou, nel 1929, propone un disegno di legge “ad personam”, che servisse, in sostanza, proprio a “riabilitare” Baudelaire. Il progetto viene rapidamente discusso, senonché i fatti del mondo, dalla crisi del 1929 al riarmo tedesco, alla guerra di Spagna e poi alla Guerra Mondiale, lo fanno passare in secondo piano. Ma la legge non viene dimenticata, e subito dopo la fine della guerra, il 25 settembre 1946, viene approvata: la Legge n. 46-2064. Si compone di un solo articolo:
La revisione di una condanna pronunciata per oltraggio al buon costume commesso a mezzo di libri potrà essere domandata venti anni dopo che il giudizio sia diventato definitivo. Il diritto di domandare la revisione spetta unicamente alla Societé des Gens de Lettres de France, che agisce sia d’ufficio, sia su richiesta della persona condannata e, se questa è deceduta, su richiesta di un congiunto, di un discendente o, in loro mancanza, del parente più prossimo in via collaterale. La Corte di Cassazione, sezione penale, sarà investita di questa domanda dal suo procuratore generale, in virtù dell’ordine espresso che gli avrà impartito il Ministro della Giustizia.
Caso più unico che raro di legge scritta appositamente per un singolo libro e applicata solo una volta nella storia. Il 31 maggio 1949 la richiesta della Societé viene discussa davanti alla Cassazione. Il consigliere Falco legge la sua relazione. Dice che il 1857 era stato “un anno di grande pudore giudiziario”. Adesso le cose sono cambiate, siamo forse in un’epoca di “grande indifferenza giudiziaria”, ma come rimproverare Pinard e il Tribunale del 1857, che operavano in base a una legge severissima? Nel difendere Baudelaire, un po’ si ha l’impressione di fare dei Fiori del Male “un libro della Biblioteca Rosa e di attribuire un premio di virtù”. Come pure dovremmo chiederci se difendere oggi Baudelaire sia necessario, e rappresenti meno un tentativo di rimuovere dal poeta una condanna già da tempo cassata dal giudizio della letteratura e dalla sentenza della posterità quanto piuttosto un tentativo di riabilitare proprio la giustizia. D’altra parte, la richiesta è perfettamente regolare, in virtù della nuova legge, e se è vero che i Fiori del male son divenuti un classico, è anche vero che la sentenza di condanna continua a esistere e così pure la possibilità di nuovi sequestri e nuove condanne. Quindi si tratta di giudicare di nuovo se effettivamente il libro rappresenti un oltraggio alla morale e al buon costume. L’opinione di Falco è che “oggi possiamo affermare che quelle poesie non oltrepassano nella loro forma espressiva le libertà permesse a un poeta di genio, che al fondo, lungi dall’oltraggiare la morale, erano d’ispirazione proba e comportavano, sotto la loro audacia apparente, le lezioni che si sviluppano dalle contraddizioni di un’anima inquieta e di uno spirito tormentato, che infine alcune di esse, divenute immortali, hanno preso definitivamente posto fra i più bei testi della lingua francese e tra i capolavori poetici di ogni tempo. Nulla sussiste dunque degli elementi che la vostra giurisprudenza ha sempre considerato necessari per integrare l’oltraggio ai buoni costumi per mezzo di libri, vale a dire, oltre la pubblicazione, l’oscenità dello scritto e l’intenzione colpevole dello scrittore”. E prosegue: “I giudici del 1857, con singolare contraddizione di motivi, lungi dall’affermare tale volontà delittuosa la cui constatazione sembra tuttavia richiesta dai vostri precedenti, avevano al contrario dichiarato che a dispetto delle intenzioni del poeta e degli sforzi spiegati da lui per attenuare gli effetti dei suoi quadri, essi ‘conducevano necessariamente all’esaltazione dei sensi grazie a un realismo grossolano e offensivo del pudore’, ma questa grossolanità e questo potere afrodisiaco gli uomini del nostro tempo, senza dubbio più scaltriti, non ve li possono scoprire, così che il delitto rimproverato all’autore dei Fiori del Male e ai suoi editori non può più, né sul terreno dei fatti, né su quello delle intenzioni, essere considerato come giuridicamente accertato”. Il relatore chiede dunque alla Corte di “rettificare l’errore commesso da magistrati ingannati dallo spirito della propria epoca su un’opera di cui il tempo ha svelato il vero volto”, e in questo modo “voi mostrerete ai Mani del poeta che, senza attendere ventiquattr’ore per maledirli, aveva scritto alla vigilia dell’udienza, ‘Ho visto i miei giudici, sono abominevolmente brutti e le loro anime devono assomigliare ai loro visi’, che la giustizia è almeno senza rancore; e restituirete infine il loro vero profumo a quei ‘fiori malati’, oggetto sfortunato di una persecuzione ingiusta di cui il grande artista ulcerato aveva l’abitudine di dire che essa gli appariva soprattutto come ‘l’occasione di un malinteso’”.

Come vedete, Falco non dice nulla di diverso da quanto avrebbero potuto dire anche Pinard e i giudici del 1857: si ripete ancora perfino la tesi che ci sono dei limiti che la “forma espressiva” dello scrittore non deve oltrepassare. Soprattutto, il relatore nota un problema reale della sentenza, che è contraddittoria perché nega l’intenzione dolosa ma condanna in base a una legge che la richiede. Parla quindi l’avvocato generale Dupuich. Anche per lui “Baudelaire si era dato come scopo la pittura delle miserie dell’esistenza umana: pittura sganciata da ogni convenzione di stile”. Fa una descrizione esauriente degli eventi anteriori al processo e del processo medesimo; difende l’arringa di d’Est-Ange (che “non mancava di abilità”); butta lì che forse la condanna “non fu un così cattivo affare per il libro”. Dopo aver esposto le vicende successive dei tentativi di riabilitazione, dice che, siccome i libri vivono più degli uomini, può accadere che le sanzioni, che un tempo furono irrogate, non siano riviste nonostante il mutare del “sentimento pubblico”. E siccome le leggi sono “la coscienza pubblica della Nazione”, “l’esteriorizzazione (almeno in principio) del voto maggioritario del paese, noi abbiamo il dovere di accettarlo e di sottometterci”. Insomma si chiede: nei versi di Baudelaire, ci sono forse gli elementi del delitto di oltraggio ai buoni costumi? Non è che i Fiori del male non contengano poesie erotiche. Quindi è vero che, nonostante gli sforzi del poeta, quei versi producono l’eccitazione dei sensi tramite un realismo offensivo del pudore, come aveva detto Pinard. Né l’assenza di parole oscene esclude di per sé l’oltraggio al buon costume, che può verificarsi anche con le parole più caste. È così ancora adesso? Dupuich non lo crede. “L’uomo e il poeta sono morti. L’opera resta. Ha trovato dei pubblici più liberali, non solo in Francia, ma nel mondo intero”. Chi loda la probità del poeta, chi la ricchezza dei versi, chi il sapiente impiego delle parole: queste “sono delle buone guide”. Baudelaire ha da tempo la stima della brava gente di Francia, e questi “sarebbero rattristati, credo, se l’obbrobrio, anche lontano, d’una condanna colpisse più a lungo la memoria di uno degli scrittori che hanno meglio servito il loro paese”. Baudelaire si augurava non già di essere condannato, ma di ricevere una “riparazione”: l’avvocato generale confida che la più alta giurisdizione del paese, oggi, gliela accordi finalmente. La sentenza, infine, stabilisce che, dei tre elementi del reato, uno (l’oscenità) non c’è, poiché, con le stesse parole del relatore Falco, le poesie non oltrepassano, nella forma espressiva, le libertà permesse all’artista; se alcune formulazioni all’epoca possono aver scandalizzato, ciò avveniva solo perché ci si attaccava all’ “interpretazione realista” senza prestare attenzione al “senso simbolico”. E per quanto riguarda il terzo elemento, l’intenzione, la sentenza aveva riconosciuto perfino gli sforzi fatti dal poeta per attenuare l’effetto, e d’altronde le poesie stesse, che non contengono espressioni oscene, “sono manifestamente d’intenzione proba”. Perciò annulla la sentenza, e “scarica la memoria di Baudelaire, Poulet-Malassis e de Broise della condanna”. Non si può certo dire una sentenza priva di contraddizioni. I giudici del 1949 in sostanza rimproverano a quelli del 1857 non già di esser stati cattivi giudici, ma di esser stati cattivi lettori. Eppure Pinard aveva detto chiaramente che il giudice non è un critico! Non si capisce, in sostanza, se quel che la Cassazione vuol dire è che il Tribunale penale del 1857 aveva sbagliato a condannare Baudelaire, oppure che la condanna era giustificata all’epoca ma non lo è più oggi. Ma se i Fiori del male oggi sono un classico, non lo erano certo nel 1857, ed è un po’ esagerato pretendere che i giudici di allora li leggessero con gli occhi della posterità. Perché Flaubert fu assolto e Baudelaire condannato? Possono esserci state varie ragioni: il differente milieu e le differenti condizioni economiche dei due scrittori hanno sicuramente giocato un ruolo importante. Eppure i due autori avevano fatto un’operazione molto simile. Si può sostenere che entrambi furono processati per “realismo”, cioè per aver portato nella letteratura elementi “bassi”, “volgari”, tradizionalmente esclusi dalla letteratura “seria”. La cosa oggi non ci colpisce più molto, perché è diventata normale, ma all’epoca non lo era affatto, e tendiamo a dimenticare che proprio Flaubert e Baudelaire ne sono stati gli iniziatori più famosi. Allora, una possibile spiegazione sta proprio nel fatto che il “realismo” di Flaubert si esercitava ai danni di un genere (il romanzo) che veniva considerato meno “rispettabile”, meno “nobile”, più “basso” della poesia, il che rendeva la sua operazione meno grave – ma d’altra parte, in senso contrario si può osservare che il romanzo si rivolge per sua natura a tutti, anche a persone meno istruite e quindi anche più facilmente influenzabili (come erano allora considerate donne e ragazze), e quindi era più “pericoloso” della poesia, che invece si rivolge(va) a una minoranza, per di più prevalentemente maschile, sufficientemente istruita da saper resistere a certi tipi di influenza. Il fatto poi che fosse più facile condannare delle poesie autosufficienti e in sé concluse che non un romanzo intero può aver influito sul diverso esito dei due processi. In conclusione: non lo sappiamo. Di certo, la Cassazione, nel 1949, ha perso un’ottima occasione per affermare una buona volta il principio che morale e letteratura sono due sfere distinte, il che vuol dire che altri “malintesi” come quello che afflisse Baudelaire sono potenzialmente sempre possibili.
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