Viene sentito anche Francesco Grioni detto il Saracco (che in sostanza non aggiunge nulla). Infine si mette alla tortura Vedano. Ha innervosito i commissari, con l’insistere a negare (“per negare una cosa basta dire una volta di no, et che quel repplicare signor no, signor no, signor no, mostra il calore con che la nega, et che per maggior causa la neghi, che perché non sii vera”: in questo modo, evidentemente, si può provare tutto e il suo contrario). Vedano però nega anche sotto tortura: anche se probabilmente solo perché non sa cosa dovrebbe dire per salvarsi (“ah signore, se sapessi, che cosa dire direi”). Di fatto comunque non confessa nulla, e “essendo stato sottoposto alla tortura per un tempo sufficiente e parendo soffrire molto, né potendo sperare altro da lui”, lo rimandano in carcere. 
Il 20 settembre tocca di nuovo al Foresaro junior, Gaspare Migliavacca. Dice che Mora lo conosceva solo di vista, in pratica ci ha parlato solo in carcere: ha chiesto a Mora se erano vere le cose per cui lo condannavano, e Mora aveva detto di no, “del resto non ho mai parlato con detto barbiero per altro”. Idem Piazza, lo conosceva solo di vista. Quanto a Baruello e Bertone, praticavano col padre, ma non con lui (a lui non piacevano, perché in presenza delle donne della bottega “dicevano delle parole sporche, et le donne si discumiavano”, e a quanto pare una volta avevano cantato una serenata alla sua futura moglie). Insomma, nega tutto. E’ decisamente un uomo di tempra diversa dai vari Piazza, Mora, Baruello e affini.
Il 21 settembre fino a dicembre vengono sentiti vari testimoni a proposito di Vedano (“lo conosco per un furfante”, un altro dice che picchiava i genitori), Fontana e Tamborino (“ho ben sentito dire che ongevano, ma sono morti”) e il misterioso Pietro di Saragozza (che nessuno conosce). Molti peraltro dicono che don Giovanni è assente da lungo tempo da Milano. Nel frattempo viene data copia dei verbali a Migliavacca junior e termine di sei giorni per le difese (come vedete, i commissari adesso hanno meno fretta di prima, e così danno termini doppi all’imputato.)
L’11 ottobre si decide di andare al castello di Pizzighettone dove è detenuto don Giovanni, e data “la qualità della stessa causa e della persona”, si decide di mandare uno degli avvocati fiscali del Re.
Il 19 dicembre si delibera che Migliavacca junior e Bertone siano condannati (alla ruota pure loro), e che nell’annunciargli la sentenza vengano comunque torturati “sopra le rimanenti cose e sui complici”. Così il 20 dicembre tocca di nuovo al Foresaro jr. Gli leggono la sentenza e gli dicono: non serve che neghi, “perché il senato l’ha avuto per convitto”, si limitasse a dire chi sono stati i suoi complici. Ma Gaspare, già l’abbiamo visto, è un uomo tutto d’un pezzo: “dico a vostra signoria che come per verità non l’ho fatto, per verità non ho né anche havuto compagni”. Lo minacciano di tortura, ma lui è inamovibile: 

facci quello, che vuole, che non dico mai quello non ho fatto, né mai condannerò l’anima mia, et è molto meglio, che io patisca tre, o quattro ore di tormenti, che andare nell’inferno a patir eternamente.

Viene torturato a lungo e  con ferocia, ma non cede: “Povero Gaspare! Non ho fatto niente, non ho mai fatto tal cosa”, “non so nagotta, non ho fatto niente”, “non ho fatto niente, volete voi, che io condanni l’anima mia?” Lo tirano giù e lo rimandano in carcere. Tocca quindi al Bertoni: stesso copione, anche il cognato di Baruello insiste ostinato a negare tutto.
Il 2 dicembre, di fronte a queste prove così schiaccianti, ammazzano entrambi.
E se ne vanno così anche i poveri Migliavacca jr e Bertoni.
Il  4 gennaio viene sentito tal Gerolamo Mendozio (probabilmente Mendoza). Riferisce che tempo prima un soldato del castello di Milano, Melchion de los Reyes, gli avrebbe detto di aver visto nelle stanze di don Giovanni “vasi, pignatte, quadri di canevette, et ampolle in grande quantità, di che io restai attonito, et dissi al detto signor don Giovanni, che cosa è questa. Et lui mi rispose quella è robba, che basteria per far morire tutto Milano, et mezo il mondo”. Gli inquirenti non ne ricavano altro, ma si fregano comunque le mani. Perché adesso siamo a un altro turning point dell’indagine: è venuto il momento di sentire lo stesso don Giovanni de Padilla.
Ma don Giovanni è un pesce ben diverso e molto più grosso degli altri; con lui bisogna muoversi con rispetto e cautela. Così il 10 gennaio comincia il primo interrogatorio. Don Giovanni dice che non ha idea del perché lo abbiano arrestato o lo interroghino; ad ogni buon conto (vista l’aria che tira, non si sa mai) rammenta agli altri che è cavaliere dell’ordine di San Giacomo (e infatti porta la croce del suo ordine sulla veste). In sostanza gli inquirenti vogliono sapere i suoi spostamenti: lui racconta con molta sicurezza di essere stato sempre fuori Milano per ragioni di ufficio militare (può, e lo vedremo, produrre abbondanti  conferme). Soprattutto confonde gli inquirenti dicendo che dal 4 marzo 1630 in poi è tornato a Milano solo due volte, una volta per due ore, una volta per un giorno intero: il resto dell’anno era fuori, a fare la guerra per il Vicereame. Quanto alle persone che dicono averlo conosciuto, lui ammette di conoscere il Fontana bombardiere, di conoscere parecchi tamburini, ma non in particolare uno chiamato Michele, di non conoscere affatto Pietri di Saragozza, e quanto al Vedano, lo conosce sì, ma l’ultima volta che ci ha tirato di scherma erano quattro anni buoni prima, e di certo Vedano non ha mai insegnato la scherma a suo fratello minore, dato che a malapena sapeva tirar di scherma lui stesso, senza contare che suo fratello era molto piccolo e cagionevole di salute. Insomma, non torna nulla. 
Gli inquirenti insistono per farlo ricordare, ma non più di tanto. Con chi non è passibile di tortura (il rango, le coperture politiche, la qualità di membro dell’ordine di San Giacomo lo proteggono), certe tecniche guardacaso funzionano poco…   
Il 5 gennaio 1631 tocca di nuovo al Vedano. Questi nega di essere mai “andato per questa città di compagnia del signor Giovanni de Padiglia”. Insistono, ma lui pure. Dice di averlo incontrato solo quando andava a insegnare la scherma a don Carlo. Gli dicono che Padilla ha negato che lui avesse mai insegnato al scherma al fratellino, ma Vedano insiste, con dovizia di particolari. Dice anche che prima dell’arresto era stato quattro mesi a Ossona, dove aveva una casetta, anche se varie volte era tornato a Milano. Dice di essere stato a mangiare all’osteria dei Sei Ladri, col Baruello ma non con il Foresaro.  
Gli osti dei Sei Ladri confermano che Vedano era stato loro cliente (di pessima fama, visto che talvolta non pagava); c’erano stati Piazza e Mora, Foresaro sr. e Baruello, anche se forse non insieme; non ricordano d’aver visto alcun cavaliere di San Giacomo.
E questo è lo stemma dell’Ordine di Sam Giacomo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Hai bisogno di contattarmi?

Se vuoi avere informazioni, se hai domande curiosità, scrivimi!

Invia Mail

Seguimi sui miei Canali: