Il terzo referendum propone di abrogare una serie di norme che consentono in qualsiasi momento ai magistrati di passare dalla carriera c.d. giudicante (cioè dei giudici che effettivamente giudicano una causa) alla carriera c.d. requirente (cioè dei giudici che, inquadrati nelle procure, chiedono le condanne, le carcerazioni, eccetera ai magistrati giudicanti). In caso di vittoria del sì, questo passaggio sarebbe possibile una sola volta, all’inizio della carriera, dopodiché chi ha optato per la carriera di pubblico ministero continuerà a fare solo quello e chi invece ha optato per la carriera di giudice “che giudica” farà solo quello. 
Il senso del referendum è fondamentalmente impedire che persista quella “contiguità” fra magistrati che giudicano e magistrati che accusano che è un non secondario motivo del fallimento, finora, della riforma del processo penale (riforma che risale al 1988). Quest’ultima, basandosi su un impianto accusatorio, presuppone, per funzionare, che il giudice “che giudica” sia terzo e indipendente tanto dall’accusa quanto dalla difesa: ma è chiaro che se, nel corso della sua carriera, può passare da un lato all’altro della sua professione, continuerà a trovarsi accanto colleghi che in quel momento dovrebbero essergli “distanti” perché rappresentano, appunto, l’accusa. Il rischio della contiguità non esiste con la difesa, perché gli avvocati non sono “colleghi” dei giudici e non si ritrovano quindi a discutere insieme, magari davanti al caffè o in sede di sindacato magistrati, di cose come gli avanzamenti di carriera, i trasferimenti, le nomine, i concorsi eccetera. E quindi non dovrebbe esistere neanche con i pubblici ministeri. Si tratta perciò di garantire l’equidistanza fra giudice, accusa e difesa, elementare e banale prerequisito di ogni processo giusto; e l’unico modo per garantirlo è appunto separare le carriere dei magistrati (lasciando peraltro, è importante notarlo, invariate le altre guarentigie di inamovibilità eccetera, che si continuano a applicare sia ai giudici giudicanti sia a quelli requirenti).

Il quarto referendum chiede di abrogare l’art. 25, terzo comma, della Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), limitatamente alle parole 

“unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta”.

Scopo del referendum è contrastare il fenomeno delle correnti in seno alla magistratura: infatti è chiaro che, salvo che il candidato non sia notissimo per ragioni (come spesso accade) estranee al buon lavoro svolto in magistratura, per raggiungere il numero di “presentatori” richiesto occorre il benestare delle correnti in cui la magistratura è divisa; con la vittoria del sì, non occorrerebbe più. La mia opinione è che si tratta di un rimedio non sufficiente a risolvere il problema (che è reale): ma forse poco è sempre meglio di niente.

Infine, il quinto referendum propone di abrogare parte del Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari), in modo da far sì che, entro i consigli giudiziari che si occupano di valutare i magistrati ai fini del progresso della carriera, possano discutere e votare anche i c.d. membri “laici”, cioè avvocati e professori universitari di materie giuridiche – che, si noti, fanno già parte dei consigli giudiziari, ma quando si tratta di  decidere se un giudice si merita la promozione, non possono né parlare né votare, quindi recitano solo la parte delle belle statuine.

Si tratta di un lodevole tentativo di attuare lo spirito della Costituzione, che ha previsto che nel CSM sedesse una componente appunto “laica” con poteri identici a quelli della componente “togata”. Unico problema: i laici, sia nei consigli giudiziari, sia nel CSM, sono solo 1/3 del totale; i restanti 2/3 sono appunto i magistrati, che quindi continueranno in ogni caso a fare quello che gli pare. Ma anche qui, è meglio un bicchiere mezzo pieno (o meglio, pieno per 1/3) o uno tutto vuoto?

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