Il prossimo 12 giugno si votano cinque referendum, quelli ammessi dalla Corte Costituzionale (sugli otto totali richiesti dai promotori).
Come sapete, sono referendum abrogativi, vale a dire che, in caso di vittoria del sì (che presuppone il raggiungimento del quorum), le norme di legge oggetto del referendum vengono abrogate.
I cinque referendum di giugno sono tutti in tema di giustizia. I primi tre sono quelli obiettivamente più importanti.

Il primo referendum propone l’abrogazione dell’intero decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi), noto come Legge Severino. In sintesi, è una legge che dispone l’effetto automatico della interdizione dagli uffici di parlamentare nazionale e europeo, di consigliere regionale, comunale, circoscrizionale, nonché dagli incarichi di governo nazionale e di amministrazione locale, a seguito di alcuni tipi di condanne definitive; prevede inoltre la sospensione dalle cariche di amministratore locale anche in certi casi di condanne non definitive. È soprattutto quest’ultima disposizione ad aver dato origine al referendum, dato che sono stati molti i casi di amministratori locali sospesi dalla carica per poi essere assolti in via definitiva. 
Il referendum elimina l’automaticità  della sanzione (accessoria della pena) della interdizione dai pubblici uffici: in caso di vittoria del sì, infatti, nulla vieta al giudice, nell’irrogare la condanna, di applicare anche, appunto, la sanzione accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Deve però trattarsi di una valutazione caso per caso effettuata dal giudice, non già di un effetto automatico di una condanna, per di più nemmeno definitiva.

Il secondo referendum propone l’abrogazione di una parte dell’art. 274 del Codice di procedura penale (comma 1, lettera c) in materia di custodia cautelare, vale a dire anteriore alla condanna, e precisamente di queste parole: 

“o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.”

Il resto dell’art. 274, che prevede che il giudice possa disporre la custodia cautelare nelle ipotesi di pericolo di inquinamento delle prove, di pericolo di fuga, oppure se “sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”, rimane invariato. 
In altri termini, la possibilità di custodia cautelare per il semplice pericolo di reiterare il reato verrebbe, in caso di vittoria del sì, abrogata.  
La ragione del referendum è che, in Italia, il pericolo di reiterazione costituisce il motivo più frequente per disporre la custodia cautelare, e di questa oggettivamente si abusa in modo indegno di un paese civile (l’Italia è il paese d’Europa in cui ci sono più carcerazioni preventive – il 31% delle carcerazioni totali – e in cui il tasso di carcerazioni ingiuste, cioè non seguite da condanna, è il più elevato: più di 1000 persone all’anno in Italia vengono carcerate ingiustamente, il che è chiaramente inaccettabile). Il referendum non risolverà del tutto questo grave problema, ma comunque è un importante passo avanti.

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