Nel ricorrente dibattito sul “merito” o sulla “meritocrazia”, spesso salta fuori un richiamo alla Costituzione. Del principio per cui certi incarichi debbano essere riservati ai più capaci, nella Costituzione effettivamente c’è abbondante traccia; ad esempio, le nomine dei magistrati devono avvenire per concorso (art. 106) e sempre per concorso si accede agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97); inoltre, occorre superare un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la loro conclusione e per l’abilitazione all’esercizio professionale (art. 33). Tutti questi sono, innegabilmente, esempi di “merito”.
Espressamente, però, di “merito” in Costituzione si parla solo all’art. 34...

Nel ricorrente dibattito sul “merito” o sulla “meritocrazia”, spesso salta fuori un richiamo alla Costituzione. Del principio per cui certi incarichi debbano essere riservati ai più capaci, nella Costituzione effettivamente c’è abbondante traccia; ad esempio, le nomine dei magistrati devono avvenire per concorso (art. 106) e sempre per concorso si accede agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97); inoltre, occorre superare un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la loro conclusione e per l’abilitazione all’esercizio professionale (art. 33). Tutti questi sono, innegabilmente, esempi di “merito”. Espressamente, però, di “merito” in Costituzione si parla solo all’art. 34, che recita come segue:
La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Dunque, l’art. 34 stabilisce che tutti possono accedere all’istruzione, e percorrerne i “gradi più alti” (cioè fino all'istruzione universitaria e post-universitaria); però, per ragioni di bilancio, aggiunge che solo l’ “istruzione inferiore” (originariamente 8 anni, cioè fino al termine della scuola media inferiore; poi il limite è stato portato a 10 anni con la Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, co. 622) è gratuita e obbligatoria. Oltre quel limite, l’istruzione non è più gratuita (né obbligatoria), il che implica evidentemente una disuguaglianza: mentre chi ha i mezzi economici per procedere ulteriormente può farlo, indipendentemente dal “merito” personale (anche un somaro ricco può andare avanti negli studi), chi non li ha deve contare solo sulle proprie capacità, cioè sul proprio “merito” (“borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze”, da attribuire per concorso, dice l’art. 34). È difficile sostenere che la Repubblica abbia effettivamente fornito tutte le “provvidenze” necessarie affinché gli studenti meritevoli e capaci, ancorché privi di mezzi, possano procedere il più avanti possibile negli studi, come disposto dalla Costituzione: gli ostacoli purtroppo rimangono notevoli, anche perché spesso queste agevolazioni rimangono sconosciute proprio alle famiglie che più ne avrebbero bisogno. L’art. 34 ovviamente va poi letto, come ha sempre coerentemente fatto la Corte Costituzionale, in coordinamento con l’art. 3, che impone alla Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”: perciò il diritto allo studio va considerato come uno dei tanti settori nei quali la Repubblica deve concretamente realizzare una compiuta uguaglianza, così da consentire a chiunque lo voglia di avanzare negli studi. Vasto programma!, avrebbe detto De Gaulle. Certo siamo ben lontani dall’averlo realizzato. Resta comunque il fatto che l’unico articolo della Costituzione che parli espressamente di “merito” lo fa non per escludere i non meritevoli da qualcosa, in questo caso i gradi più alti dell’istruzione (perché altrimenti l’art. 34 avrebbe riservato l’istruzione non obbligatoria solo ai vincitori di apposito concorso), ma, proprio al contrario, per consentire ai meritevoli non abbienti di raggiungere i gradi più alti degli studi, e quindi per indicare il vero obiettivo di uno Stato civile: rimuovere, sia pure in modo inevitabilmente non pieno e non soddisfacente, gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana derivanti dalla disuguaglianza.
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